IL BUDDHISMO

IL FONDATORE BUDDHISMO GIAPPONESE MAHAYANA
IL NIRVANA RITORNA A RICERCHE RITORNA A HOME PAGE

Il Buddhismo trae il nome dal titolo onorifico del suo fondatore, designato come il "Buddha" ossia lo "Svegliato", "l’Illuminato".


Scultura giapponese del XIII sec. d.C.
raffigurante il Buddha,
in atteggiamento di preghiera.

Poiché gli stessi buddhisti riconoscono che prima del Buddha storico, chiamato generalmente Gautama o Sakyasinha (Leone della stirpe dei Sakya) sono apparsi anche altri Buddha, nella loro concezione la parola Buddhismo non si richiama soltanto al fondatore di questa dottrina, vissuto 2500 anni or sono, ma mira nello stesso tempo a indicare il significato metastorico di una religione universale, sempre esistita e annunciata da sempre nuovi Buddha.

SIMBOLO del buddhismo è la "ruota della legge" (Dharma-cakra), a cui ci siamo ispirati per lo sfondo di questo lavoro. Già nei testi antichi, infatti, l’inizio della predicazione del Buddha viene raffigurata metaforicamente con la ruota della legge che è messa in moto. La parola "legge" può essere resa anche con "dottrina", poiché il termine sanscrito "dharma" abbraccia entrambi i significati. L’immagine della ruota messa in moto risale a concezioni più antiche, infatti, secondo un mito indiano, che si ritrova presso gli indù e presso i jaina, nella storia del mondo compaiono di tanto in tanto alcuni sovrani, i quali, facendo ruotare un disco sospeso nella aria (cakra), unificano pacificamente sotto il loro scettro, l’intero globo terrestre. Questi sovrani leggendari sono chiamati Cakravarti, cioè "coloro che fanno girare la ruota". Senza dubbio il disco è un simbolo del sole, che illuminando su tutti i paesi li domina con il suo splendore, così come il Cakravarti domina tutto il mondo, facendo ruotare il suo disco, anche Buddha conquista il mondo annunciando la sua dottrina. Spesso nelle opere d’arte buddhiste sono presenti le raffigurazioni della ruota Dharma, che non va confusa con la ruota della vita (samsara-cakra, cioè ruota del ciclo delle esistenze), nella quale sono rappresentati gli elementi del cosiddetto nesso casuale, che attraverso sempre nuove esistenze conducono ad un’incessante continuazione dell’essere.

IL FONDATORE
Figlio del re Suddhodana e di sua moglie Maya, il Buddha nacque probabilmente intorno al 560 a.C. nell’Himalaya presso l’attuale confine indo-nepalese. Il suo nome era Siddharta ("colui che ha raggiunto il suo scopo"), la sua famiglia era legata al profeta vedico Gotama ed egli era discendente della stirpe dei Sakya; fra i titoli onorifici ottenuti dopo la sua illuminazione oltre a "Buddha" è interessante ricordare quello di "Tathagata" (il Perfetto, cioè colui che ha compiuto egli stesso il cammino che ha indicato).


Scultura appartenente all'arte del Gandhara,
regione settentrionale del Pakistan,
luogo tradizionaled'incontro fra cultura
greca e romana. Epoca ellenistica.

La sua giovinezza è circondata da molte leggende; sua madre lo avrebbe generato senza il concorso del padre accogliendo nel grembo il figlio sotto forma di elefante bianco. Poiché sua madre era morta poco dopo averlo dato alla luce, il fanciullo crebbe sotto la tutela della zia materna, fu istruito in tutte le arti cavalleresche e sposò sua cugina Yasodhara. Suddhodana, cui era stato profetizzato che il giovane sarebbe diventato una luce nel mondo, lo aveva fatto crescere nel suo palazzo in mezzo ad un gran lusso tenendolo lontano da ogni dolore dell’esistenza. Ma al giovane nel corso di quattro viaggi apparvero alcune divinità sotto forma di vegliardo, di un malato, di un morto e di un asceta. Quando il suo cocchiere gli ebbe spiegato il significato di questi fenomeni finora a lui sconosciuti, il principe decise di lasciare di nascosto il palazzo. Questo avvenne proprio nel giorno in cui la moglie gli partorì un figlio, Rahula: tratto commovente della leggenda, che vuol fare risaltare l’intensità del dolore del distacco. Siddharta, dopo aver cavalcato tutta la notte, scambiò i suoi abiti principeschi con quelli di un asceta, rimandò a casa lo scudiero che lo accompagnava e cominciò la vita del pellegrino errante.

Due asceti brahamani, da cui aveva sperato qualche indicazione per la via della salvezza, non soddisfecero la sua avidità di sapere. Proseguì il suo cammino e si fermò infine a Uruvela, presso l’odierna Gaya. Qui si inflisse severe penitenze nella speranza di raggiungere la liberazione. Cinque asceti, che vivevano nello stesso luogo, speravano di poter trarre giovamento dalle conoscenze che egli avrebbe conseguito ma Buddha invece si convinse che le sofferenze volontarie non rispondevano allo scopo e rinunciò all’ascesi. Allora i cinque uomini lo abbandonarono, persuasi che avesse tradito la sua alta missione. Cominciò a praticare intensi esercizi di meditazione ed una notte sotto un fico dopo aver superato tutte le tentazioni del demonio Mara che cercava di distoglierlo dall’approfondimento della verità, ottenne la rivelazione. Trentaseienne, sette anni dopo aver lasciato la sua casa, diventato ormai un Buddha, si recò a Sarnath presso Benares e là mise in moto la "ruota della dottrina", predicando per la prima volta e proprio davanti ai cinque asceti che lo avevano abbandonato. Essi divennero i primi monaci dell’ordine da lui fondato (sangha). Fino all’ottantesimo anno di vita egli vagò insegnando la sua dottrina nell’India settentrionale, compì molti miracoli raggruppando un sostanzioso numero di adepti monaci, monache e aderenti laici di ambo i sessi. Morì a Kusinara ed entrò così nel nirvana. Gli studiosi europei pongono questo avvenimento intorno all’anno 480 a.C., mentre i buddhisti dei vari paesi sostengono date completamente diverse. In Ceylon si considera come anno del nirvana il 543; perciò nel giorno del plenilunio di maggio del 1956 fu festeggiato l’inizio dell’anno 2500 dopo il nirvana di Buddha.

BUDDHISMO GIAPPONESE
Dopo la morte del Buddha i suoi insegnamenti si diffusero con grande rapidità: infatti oltre all’India arrivarono fino a Ceylon all’Indocina occidentale, nel Nepal, negli Stati Himalayani, in Tibet, Mongolia, Cina, Corea, Vietnam e nel 525 anche in Giappone.


Cartina che mostra la diffusione
del Buddhismo al di fuori
dell'area indiana.

Fu portato qui da un’ambasceria coreana e qui, dopo iniziali difficoltà trovò un terreno estremamente fecondo per la sua predicazione, grazie soprattutto all’appoggio del principe Shotokutaishi (morto nel 621). Per il fatto che non combatteva lo shintoismo locale, ma anzi lo accoglieva nel suo sistema, esso divenne la potenza spirituale predominante e per secoli conferì all’impero insulare la sua impronta. In Giappone le sette hanno acquistato particolare importanza; le più antiche di queste scuole, che avevano la loro sede nella capitale di allora Nara, hanno oggi solo pochi seguaci. Esse rappresentavano diverse correnti:

l’Hinayana il cui scopo che, fatte le debite eccezioni, può essere realizzato solo dai monaci ed il cui nome è Arhat, consiste in un’ascesa che si realizza attraverso una serie di gradi attraverso i quali, dopo aver abolito l’odio, la cupidigia e la vanità, si può raggiungere la condizione dell’individuo santo, superiore alle cose mondane, che alla morte entra nel Nirvana.

il Mahayana in cui l’etica assume una forma più attiva, più rispondente anche nella vita laica. Lo scopo cui il fedele deve tendere, non è più quello di diventare un santo, estraneo al mondo, bensì un futuro Buddha, che sacrificandosi e rinunciando a se stesso porta alla salvezza innumerevoli esseri viventi. Col compimento delle dieci perfezioni (paramita), cioè delle virtù cardinali: generosità, disciplina, pazienza, energia, meditazione, conoscenza, abilità nel trasmettere la verità, decisione, facoltà miracolose e sapienza, egli ascende, sulla via della perfezione, i dieci gradini corrispondenti.

A Kamakura, dove dal XII al XIII secolo dinastie nobiliari e guerriere esercitarono il potere in luogo dell’imperatore (Tenno, Mikado) la scuola di meditazione venuta dalla Cina trovò numerosi seguaci. Anche se i metodi di meditazione (Zen) da essa insegnati sono stati portati, come pare, dall’India in Asia Orientale, hanno acquistato qui forme autonome corrispondenti al pensiero ed alla mentalità affatto diversi dall’Estremo Oriente.


Un sacerdote buddhista in
un'incisione giapponese

Attraverso il severo esercizio può essere attinta la grande esperienza (satori) non esprimibile a parole, del vuoto superiore ad ogni contrasto, che libera da ogni dolore del mondo perituro e mutevole. Si verifica così una totale trasformazione della personalità determinata dall’Io, così che essa raggiunga il dominio su se stessa e la perfetta armonia con il fondamento universale.

Lo Zen veniva praticato specialmente dai cavalieri giapponesi; esso esercitò anche una grande influenza sull’arte. Inoltre sorsero a Kyoto varie sette Amitabha (giapponese: Amida), che speravano dall’aiuto di questo Buddha la rinascita nel suo "paese puro".

La più importante è la "Shin-shu", la "vera scuola", fondata nel XII secolo da Shinran Shonin. Quest’uomo di nobili natali era persuaso, come Lutero, che le buone opere, l’ascesi, ecc., non portano alla salvezza, la quale dipende piuttosto dalla fede nella misericordia salvatrice di Amida. Perciò egli si sposò e concesse il matrimonio anche ai sacerdoti della sua setta.

Bisogna ricordare infine la scuola di Nichiren Daishonin, che trae il nome da colui che la fondò nel 1253. Nichiren era un monaco trentenne studioso delle religioni che visitò i principali templi per studiarne a fondo le varie dottrine. Dopo quindici anni di ricerca, arrivò a stabilire un nuovo tipo di pratica, naturalmente basata sugli insegnamenti del Buddha Siddharta. In particolare Nichiren ritenne di fondamentale importanza uno degli ultimi insegnamenti predicati da Siddharta: il sutra del loto,


Buddha assiso su un trono di fiori di loto,
che ne simboleggiano la purezza.
Manoscritto cinese del IX-X sec. d.C.

a cui si rivolge un vero e proprio culto, che solo il pronunciare il titolo di quest’opera è considerato come salutifero ed è ancora oggi considerato fra i testi più importanti influenti dell’intera corrente Mahayana. Nel sutra del loto il Buddha rivela l’esistenza di una forza vitale universale che genera, permea e regola tutti i fenomeni della vita. Ogni essere umano – egli dice – indipendentemente da razza, sesso, cultura o epoca, possiede in sé questa condizione vitale illuminata (definita Buddhità), così come in ognuno sono presenti altri stati vitali che si manifestano nelle varie forme dell’umana natura (collera, avidità, gioia, sofferenza e così via). La Buddhità rappresenta il potenziale per lo sviluppo di un'illimitata energia positiva che, attingendo dall’inesauribile fonte della vita universale di cui l’uomo è parte integrante, tende verso uno stato di felicità permettendo il superamento delle umane sofferenze


Gli occhi di Buddha, che hanno
la funzione di tener lontano
il male, compaiono spesso sugli
stupa, costruzioni di carattere
religioso, di cui vediamo qui un
esempio nel Nepal.

e la naturale compassione per gli altri. Nichiren affermò che l’essenza di questa dottrina è contenuta in una frase specifica (mantra) la cui recitazione risveglia progressivamente la natura illuminata interiore, così come, ad esempio, una frase può risvegliare la collera. Questo mantra secondo Nichiren è la chiave che apre la porta alla illimitata potenzialità celata nelle profondità dell’essere: una chiave accessibile a tutti ed universalmente valida. Il carattere rivoluzionario di tali affermazioni provocò la burrascosa reazione delle autorità religiose e governative dell’epoca, che cercarono di contrastare la propagazione di questo insegnamento. Oggi, ad oltre settecento anni di distanza, il Buddhismo di Nichiren Daishonin viene praticato da milioni di membri della Sgi (Soka Gakkai Internazionale) un’organizzazione laica fondata nel 1975. Agli insegnamenti di Nichiren Daishonin si rifanno anche altri gruppi religiosi, che talvolta danno interpretazioni anche molto diverse fra loro. Obiettivo della Sgi è quello di contribuire alla creazione di una società pacifica basata sul massimo rispetto per la vita, sul dialogo, la tolleranza, lo sviluppo della cultura e dell’educazione. Tutto questo attraverso la diffusione - anche culturale - del Buddhismo di Nichiren Daishonin. La pratica quotidiana consiste nella recitazione del mantra suddetto e di due brani del "Sutra del Loto"; nello studio della filosofia buddhista e nella concreta applicazione dei suoi principi altruistici nella vita di ogni giorno. Caratteristica fondamentale di questa pratica è infatti quella di poter essere utilizzata e verificata nella realtà quotidiana in cui si vive, mantenendo intatta la propria identità sociale, geografica e culturale.
Tutte le sette caratterizzanti il buddhismo giapponese, si sono scisse in numerose sette minori. Questo processo è stato favorito dall’occupazione americana nel 1945: ora si contano ben 13 sette principali e 262 sette minori. Il Giappone è attualmente il paese in cui il Mahayana ha raggiunto la sua più alta fioritura ed in cui anche lo studio della storia e della filosofia buddhiste viene condotto da numerosi esperti secondo metodi scientifici moderni. I giapponesi emigrati nelle Haway vi portarono il buddhismo che, dai loro discendenti, adattato alla lingua inglese ed alle forme di culto protestanti (musica d’organo, canto corale), è praticato in modo modernizzato. Questo aspetto semplificato e riformato del buddhismo è chiamato "Navayana" (il "Nuovo Veicolo"). Esso ha acquistato un certo seguito anche fra gli Americani.

IL MAHAYANA
Il buddhismo si suddivise in tre principali correnti: il Mahayana, il Vajrayana ed il Hinayana.
Il Mahayana (il "Grande Veicolo" della salvezza) sorse nei secoli intorno all’inizio dell’era cristiana ed arricchì il semplice e sobrio buddhismo delle scuole più antiche che da allora venne chiamato "Hinayana" (il "Piccolo Veicolo") mediante innovazioni della più varia specie: nell’etica fu proposta come esempio al singolo, invece della figura dell’Arat (santo) che rinuncia al mondo, quella del Bodhisattva, che rappresenta un ideale più attivo; il numero dei Buddha fu aumentato ed a questi fu consacrato un culto dal pomposo rituale. I seguaci del Grande Veicolo si richiamavano per la loro dottrina ad un gran numero di testi dei sutra che dicevano risalenti al Buddha, ma rimasti fino ad allora ignoti. Molti messaggeri della dottrina la diffusero in Indocina, Indonesia, nell’attuale Turkestan orientale ed in Cina (ove raggiunse la Corea ed il Giappone). In tutti i paesi ricordati la religione giunse soprattutto sotto forma del "Grande Veicolo", poiché questo faceva appello in misura fortissima al sentimento dei popoli stranieri. E’ fuori di ogni dubbio che solo attraverso il Mahayana il Buddhismo è diventato una religione universale.


Tempio di Wat Phu nei pressi di
Champassak, in Laos.

Dalla metà del primo millennio d.C. nel "Grande Veicolo" si accentuò la predilezione per i riti e le cerimonie. Questa involuzione, che già caratterizzò l’Iduismo portando alla nascita del Buddhismo, ebbe come conseguenza il sorgere di una terza fase della dottrina di salvezza buddhista che si stabilì poi come "terzo Veicolo" sotto il nome di Vajrayana (Veicolo Adamantino). Questo si occupò soprattutto di pratiche magiche e votive adattandosi in così alta misura ai gusti popolari da accogliere il culto di divinità femminili e rituali erotici. In tal modo la dottrina di Buddha si trasformava esattamente nel suo opposto. Nel Mahayana si sviluppò la credenza che i Buddha, anche dopo il nirvana, potessero rendere attiva in qualche modo la loro grazia, sia che avessero lasciato in un mondo superiore un riflesso ultraterreno di sé medesimi, sia che, fruendo di una vita infinitamente lunga, agissero continuamente per il bene di tutti gli esseri viventi, dato che il loro nirvana sulla terra era pura apparenza. Il sorgere di tali concezioni ebbe per conseguenza un’intensificazione del culto. Il Mahayana ha tratto le forme esteriori del sacerdozio dal "Piccolo Veicolo"; oggi tuttavia in estremo oriente i suoi monaci portano per lo più vesti nere. Era uso comune che i religiosi dopo aver ricevuto le due consacrazioni Hinayana ne ricevessero una terza in cui pronunciavano il voto di Bodhisattva. Per quanto riguarda la vita sociale Buddha respinse il Veda, il privilegio dei brahmani fondato su di esso, e il sistema di caste come istituzione divina, senza però voler riformare la società. Nel suo ordine monastico non esistevano più distinzioni di casta. In questo atteggiamento il buddhismo è rimasto sempre uguale a se stesso. E’ questo uno dei motivi per cui, in contrapposizione all’induismo, potè prendere piede in tanti paesi fuori dall’India.

IL NIRVANA
Il Buddhismo sostiene una reincarnazione nelle diverse specie di esistenza. La comparsa nel mondo può essere interrotta, se il Karma è particolarmente cattivo, da pene infernali di lunga durata, mentre d’altra parte le buone azioni sono premiate con la dimora in un mondo divino. Questi cieli hanno una disposizione a piani sovrapposti, e quanto più in alto sono collocati, tanto maggiori sono le perfezioni di coloro che vi dimorano. Tuttavia il piacevole soggiorno nei mondi divini non è per il saggio un fine degno d’essere ottenuto a tutti i costi, poiché anche l’esistenza celeste è destinata ad aver fine, con il ritorno ai dolori della terra. La liberazione finale dalle sofferenze e dalle passioni è garantita solo dal raggiungimento del Nirvana.
Il Nirvana (dispersione, estinzione), secondo la dottrina del Hinayana è la liberazione, già realizzabile in questa vita, dai tre peccati capitali: odio, cupidigia ed illusione.
Con la morte, il santo raggiunge una condizione in cui tutti i gruppi di fattori esistenziali che formavano la sua Personalità, vengono annientati senza possibilità che ne sorgano di nuovi.


Il bodhisattva Fu-Gen sull'elefante
sacro. Nel buddhismo il
bodhisattva è colui che
per la propria santità
potrebbe entrare nel Nirvana,
ma vi rinuncia temporaneamente
per salvare i propri simili.
Scultura lignea, sec. XI-XIII d.C.

Il nirvana perciò, dal punto di vista dell'uomo posto nel mondo è il nulla, per cui spesso viene paragonato allo spazio vuoto. In realtà è un nulla relativo, non assoluto, poiché da quelli che lo hanno ottenuto viene sentito come una gioia ineffabile, soprannaturale.
Il Maháyána, almeno in alcuni testi e scuole, designa questo nirvana, che è simile "a una lampada che si spegne", come un nirvana inferiore. Il supremo nirvana, quello vero, cui tende il bodhisattva, non è una condizione statica, bensí dinamica, di superiorità sul mondo: in esso il santo, libero dall'ignoranza, dalla passione, dal dolore e dal karma, opera eternamente e in modo costante per il bene di ogni essere vivente.
Il buddhismo insegna che è possibile una liberazione di singoli individui, ma non una liberazione universale, poiché il numero degli esseri sulla terra è infinitamente grande. Il singolo però può raggiungere la salvezza solo nel corso di innumerevoli esistenze, liberandosi a poco a poco da tutti gli impulsi e dall'illusione della presenza di un'individualità perdurante e di un mondo formato di sostanze eterne. Il santo maháyána Aryadeva compendia la via della salvezza nelle seguenti parole: "In primo luogo a tutto ciò che è male rinuncia, e poi a credere nell'Io, renditi infine libero da tutto, e allora certo diverrai un saggio".