Prima della disfatta: l'Operazione Blau
Quello che Hitler considerava l'attacco decisivo contro l'Unione Sovietica, che
doveva per sempre risolvere il problema del fronte orientale ed annientare un nemico che
nelle previsioni avrebbe già dovuto soccombere l'anno precedente, viene varato nel
dettaglio dall'OKW all'inizio della primavera del '42. L'ampiezza dello sforzo bellico
tedesco si era decisamente ampliata, rispetto all'anno precedente, sia per il numero sia
per la qualità dei mezzi impiegati: gli alti comandi tedeschi ritenevano quindi di essere
in grado di vibrare un colpo decisivo sul fronte orientale, e precisamente nel settore
Sud, che meglio si prestava sia ad un'eventuale manovra di aggiramento della capitale
Mosca e delle forze alla sua difesa, sia al proseguimento dell'offensiva nel Medio
Oriente, attraverso il Caucaso e fino ai possedimenti inglesi nell'area del Golfo Persico,
congiungendosi così con le forze che stavano agendo in Nord Africa, al comando di Rommel.
Questo piano grandioso, che avrebbe dovuto dare alla Germania la vittoria definitiva e
totale, doveva cominciare proprio in Russia, sul fronte meridionale, con quella che venne
battezzata Operazione Blau, che prevedeva lo sfondamento del fronte russo sul
Don, l'occupazione della Crimea, e poi una tenaglia su Stalingrado, allo scopo di "occuparla
o eliminarla come centro industriale e nodo di comunicazioni"; a questo punto le
forze tedesche si sarebbero dirette sul Caucaso, completando così il grandioso disegno di
Hitler.
Quanto questo piano ambizioso fosse in effetti concretamente realizzabile, è per noi
impossibile stabilirlo: Hitler infatti non si attenne alle sue stesse direttive con metodo
e coerenza, cambiando in corsa obiettivi e modalità. A causa infatti dei primi notevoli
successi, egli emanò una fondamentale direttiva, il 23 luglio '42, in cui stabiliva la
contemporanea avanzata verso i due divergenti obiettivi del Volga e del Caucaso (avanzate
che inizialmente dovevano avvenire una in seguito all'altra). Quanto questo fosse
assolutamente illogico, è testimoniato dalle reazioni di numerosi ufficiali tedeschi: ne
citeremo uno solo, dello Stato Maggiore del gruppo d'armate A, che dice testualmente come
"quel 23 luglio deve essere considerato come il giorno in cui risultò chiaro che
il comando supremo si stava allontanando dai principi classici della condotta della
guerra, per entrare nelle vie nuove che gli erano proprie e che derivavano soprattutto
dalla potenza irrazionale e demoniaca di Hitler, piuttosto che dal metodo vicino alla
realtà dei soldati". Analogamente il maresciallo sovietico Eremenko, si
esprimeva a questo riguardo in tal modo: "il nocciolo della questione non sta nel
fatto che Hitler si sia precipitato nello stesso tempo verso Stalingrado e verso il
Caucaso, ma dal fatto che non aveva forze sufficienti per condurre a buon fine queste due
operazioni contemporaneamente". Il nocciolo della questione è proprio
nel fatto che la direttiva di Hitler, dunque, prescriveva obiettivi assolutamente al di
là della portata tedesca, lungo fronti che si sarebbero dilatati, dagli iniziali 800
chilometri, ai 4100 chilometri degli obiettivi finali.
I prodromi della catastrofe generale che seguì, sono da ricercare proprio in questo
delirio di una mente malata, delirio che, peraltro, costò probabilmente la vittoria
finale alla Germania, e sicuramente la vita di centinaia di migliaia di soldati tedeschi,
in quella che diventerà una gigantesca e mortale trappola.
L'attacco a Stalingrado
I palazzi sventrati, ciminiere mozze e annerite, strade sconvolte, case bruciate, giardini
e parchi arati dai colpi di artiglieria, Stalingrado è un cratere che ribolle. La mattina
del 30 settembre '42, parlando al Reichstag, Hitler ha solennemente dichiarato: "Noi
prenderemo d'assalto Stalingrado e la conquisteremo: su questo potete contare. Quando noi
abbiamo conquistato qualcosa nessuno più ci sposta"; e se ora, a metà ottobre,
i deputati tedeschi danno un'occhiata all'atlante, come sempre mostrano fiducia nelle
parole del Führer. Stalingrado ha la vaga forma di una mezzaluna con la gobba rivolta
all'occidente: sul suo lato interno scorre il Volga; su quello esterno premono gli
assedianti, i 320.000 uomini della sesta Armata di Paulus. Dall'alto in basso, per chi
guarda la carta geografica, questa mezzaluna è divisa orizzontalmente in sei quartieri,
come altrettanti spicchi di terra che si bagnano nel Volga ed hanno tutti nomi tipici
dell'era rivoluzionaria: Fabbrica di Trattori, Barricate, Ottobre Rosso, Dzerzhinksi,
Vorosilovski, Koroviski. Almeno il 90% di ogni quartiere è già conquistato dai
tedeschi. Ai sovietici rimane giusto qualche angusta fetta di terreno, e non sempre
perché da Vorosilovski sono stati ricacciati nel fiume ed hanno dovuto
attestarsi sull'isoletta di Golodny. La testa di ponte più ampia la mantengono in riva al
Volga, ad Ottobre rosso ed a Dzerzhinski. E' una lingua di terra lunga
otto chilometri e profonda da 100 a 800 metri, con una ventina di grossi isolati, tre
fabbriche, il pontile centrale e la collina di Mamaj: una "stretta strisce di
rovine", la definisce il quarantaduenne tenente generale Ciujkov, capo dei
difensori della città e futuro maresciallo dell'URSS.
Un carro armato tedesco supera la
trincea russa. |
E' contro questi ultimi baluardi che fra il 16 settembre (primo
giorno dell'assedio) e il 19 novembre (inizio della controffensiva sovietica) si
rovesciano senza posa le ondate d'assalto della fanteria corazzata di Paulus.
Complessivamente, in nove settimane, sono oltre 700 attacchi, alla media di 12 al giorno,
e cinque grosse battaglie scatenate il 22 settembre, il 4 e il 15 ottobre, il 1° e il 12
novembre. Sotto l'urto dei carri, dell'artiglieria e dell'aviazione il fronte difensivo si
spezzetta in piccole isole di resistenza limitata a una strada, a un gruppo di case,
a una scuola, a un grande magazzino, all'ala di una fabbrica. L'esempio più tragico è la
collina di Mamaj, il Mamaiev Kurgan, di 102 metri, nel rione Dzerzhinski
di fronte al pontile centrale: a sorti alterne, per tutto il tempo della lotta a
Stalingrado, l'altura è perduta e riconquistata dai russi ai tedeschi.
La prima battaglia in forze comincia nell'alba piovosa del 22
settembre. La settantaseiesima divisione di fanteria tedesca, appoggiata da cento carri,
avanza lungo la via Moskovskaia, che scende dolcemente dalle colline al fiume, penetra
nella "balka" di Dolghi, si impadronisce della piazza IX Gennaio: il fiume è ad
appena 200 metri. Altri reparti occupano le vie Kurskaia e Kievskaia, raggiungono la
valletta dello Zaritza (il fiume che attraversa Stalingrado e che, un tempo, aveva dato il
nome alla città), occupano il pontile centrale e distruggono il traghetto. Ciujkov invoca
soccorsi e nella notte dall'altra sponda del Volga, traghetta su zattere improvvisate una
divisione di fanteria agli ordini di un ex-operaio metallurgico, Nikolai Batiuk: i
rinforzi riescono a respingere le punte avanzate dei mitraglieri tedeschi arrivate ad un
isolato dal fiume. La battaglia si conclude a netto favore dei tedeschi che, al 1°
ottobre, sono ormai padroni della maggior parte della Stalingrado centrale, del quartiere
degli affari, dei quartieri Barricate e Fabbrica di Trattori e di una
delle due stazioni ferroviarie, Stalingrado-I. L'enorme edificio è stato conteso ai
tedeschi, per due settimane, dai genieri del primo battaglione del reggimento Elin.
Nella notte del 30 settembre i sei soli superstiti, tutti feriti e rimasti privi di
munizioni, si trascinano fino al Volga, si impadroniscono di un barcone e si spingono nel
fiume: per tre giorni, si lasciano trasportare dalla corrente finché vengono soccorsi dai
serventi di una batteria contraerea a Kuporosnoie.
Ciò che rimane del presidio tedesco
a Stalingrado. |
Delle cinque battaglie la più aspra è quella del 14 ottobre
quando, durante nove giorni, Paulus rivolge le sue forze contro i tre complessi
industriali Barricate,Trattori ed Ottobre Rosso che sorgono uno accanto
all'altro in riva al Volga e danno il nome ai rispettivi quartieri. Su un fronte di cinque
chilometri i tedeschi impiegano tre divisioni di fanteria e due corazzate, conquistano la
fabbrica dei trattori e dividono le forze di Ciujkov. L'attacco di Paulus perde mordente
proprio nel momento in cui i sovietici, arretrando passo per passo, sono stati risospinti
a 50 metri dal fiume. Il Volga, largo in questo punto un chilometro e mezzo, è
l'amico-nemico dei russi. Tutto quello che occorre al presidio di Stalingrado - dai viveri
al foraggio, dalle munizioni all'acqua, ai rinforzi - deve essere trasportato da una riva
all'altra. I traghetti sfidano pericoli mortali: l'avversario ha un'ottima visuale del
fiume, con mortai ed aerei dà una caccia spietata. Ma il Volga, al tempo stesso, è uno
dei motivi dei successi dei difensori. L'artiglieria russa, con le sue paurose katiuscia,
è nascosta sull'altra sponda ed annulla qualsiasi conquista nemica: "Verso la
fine di ottobre - scriverà uno dei difensori di Mamaj, Viktor Nekrasov, futuro
romanziere - l'altra sponda del Volga era un vero formicaio. Là erano concentrati
tutti i servizi, l'artiglieria l'aviazione, ecc. E furono loro quelli che crearono
l'inferno per i tedeschi". Aggiungerà un altro scrittore russo, Simonov: "Sicuramente
non avremmo potuto tenere Stalingrado se non avessimo avuto per tutto quel tempo
l'appoggio dell'artiglieria e delle katiuscia sull'altra sponda".
Benché la stampa anglo-americana definisca Stalingrado
"la Verdun dell'Oriente", qui - a differenza di quanto accadde sul fronte
francese nel 1916 - le linee sono a brevissima distanza, sui due lati di una strada,
dall'ingresso al cortile di uno stabilimento, da un piano all'altro di una casa. Ogni uomo
sente l'avversario camminare, strisciare, respirare; qualche volta arriva a parlargli:
"Russ, skoro bul-bul u Volga" - gridano i tedeschi che presidiano il
Voientorg, sull'angolo delle vie Solniescnaia e Smolenskaia, ai sovietici del
"bunker" di fronte - "Presto farete le bolle nel Volga".
Riusciti a resistere in mezzo alle macerie, i russi scoprono che il loro vantaggio viene
proprio dal combattimento ravvicinato, dove la terra di nessuno non supera mai il lancio
di una bomba a mano: prima di tutto perché sono più esperti in questo genere di lotta,
sia per l'impiego di armi bianche, sia per la libertà di scelta dell'ora ( "La
notte era il loro elemento" scriverà Ciujkov ); in secondo luogo perché rende
immuni le loro prime linee dagli attacchi aerei tedeschi. Ma è soprattutto col sistema
degli edifici trasformati in capisaldi che i sovietici riescono sempre a contenere l'urto
delle forze nemiche. La "Casa della gloria del soldato" è un palazzotto barocco
di quattro piani che sorge sulla piazza IX gennaio e che il sergente I.F. Pavlov con i
fanti Alexandrov, Gluscenko e Cernologov occupa: verrà chiamata la "Casa di
Pavlov". I quattro militari la fortificano, costruiscono cunicoli e collegamenti per
collegarsi ad altre case-fortino, creano sbarramenti, reticolati e campi minati. Contano
poi molti tiratori scelti per i quali queste postazioni sono preziosissime ( il celebre
Zaicev uccide da solo 242 uomini); la "Casa di Pavlov" resiste per 50 giorni.
I resti degli eserciti nelle steppe del Volga. |
Su un diario si legge: "Stalingrado non è più una
città. Di giorno è un'enorme nuvola di fumo accecante.E quando arriva la notte
i cani si tuffano nel Volga, perché le notti di Stalingrado li terrorizzano".
Sull'altra sponda del fiume c'è Zukov. Con la stessa freddezza dell'anno prima a Mosca,
limita al minimo indispensabile l'invio dei rinforzi. E' un calcolo di stratega, ma i
tedeschi lo interpretano come prova che i sovietici sono allo stremo e che la conquista è
vicina. In realtà, Zukov sta preparando la controffensiva: nelle steppa della riva
sinistra del Volga va raccogliendo 27 divisioni di fanteria e 17 brigate corazzate. Anche
Paulus ritiene che per i russi non ci sia più scampo: ritiene infatti che Stalingrado sia
la chiave di svolta di tutto il sistema difensivo sovietico e punisce qualunque obiezione
alla sua tesi. Quando il generale carrista von Wietersheim si lamenta per la condizione
dei suoi panzer, logorati dalla guerra in città, subito è destituito, degradato
a soldato semplice. Un altro carrista, von Schwelder, ammonisce sul fatto che il fronte è
aperto su un angolo di 90 gradi, di cui Stalingrado è il fondo, e le forze sono tutte
concentrate lì. "Cosa succederebbe se i russi attaccassero le ali?" si
chiede. Anche lui viene destituito.
Il novembre dell'anno 1942 comincia col freddo: nuvole basse,
tormente di neve, il termometro a -20°. Il 6 compaiono sul Volga i primi ghiacci, dal 20
non è più navigabile, il 16 dicembre gelerà. L'8 novembre Hitler pronuncia le parole
più infelici di tutta la sua carriera politica: "Ho voluto raggiungere il Volga
nella stessa città che porta il nome di Stalin, e questa città l'abbiamo conquistata ad
eccezione di due o tre isolotti insignificanti. Lascio a piccoli elementi d'assalto il
compito di completare la conquista". Probabilmente gli è sfuggito il discorso
che Stalin ha pronunciato in occasione dell'anniversario della rivoluzione sovietica, in
cui questo celebra le vittorie di inglesi e americani, e che conclude con le parole:
"Ci sarà festa anche sul nostro fronte". Ma l'11 novembre la
situazione sembra dare ancora ragione al Führer: i tedeschi lanciano su Stalingrado un
attacco massiccio, con cinque divisioni e 150 carri, con lo scopo di rimandare i russi nel
fiume. Ma questi sono ben trincerati e i panzer tedeschi, fatti per gli spazi aperti
avanzano con difficoltà tra le macerie. I sovietici li lasciano passare e tagliano fuori
la fanteria sconvolgendo l'ordine di battaglia nemico. Tuttavia i tedeschi sfondano per la
quinta volta il perimetro della testa di ponte, spezzando in due le forze di Ciujkov. Pur
se con grandi perdite, i sovietici riescono a resistere e i tedeschi si accorgono che pur
avendo conquistato altri territori, non sono riusciti ad annientare la resistenza fra la
collina di Mamaj e le officine di Ottobre Rosso. Il 19 novembre, tra le 6 e le 7,
poco dopo l'alba, i soldati russi, accucciati nelle trincee, sono destati da un
rombo proveniente da Sud e da Nord: con una perfetta scelta di tempo, le armate di
Rokossovskij, Vatutin ed Eremenko, realizzando il piano di Zukov e Vasilevskij, chiudono
la tenaglia sul Volga.
Soldati in azione nelle trincee delle vie di
Stalingrado. |
Rossovskij e Vatutin travolgono i Romeni; Ermenko avanza da
Sud. Nel complesso le forze fresche dei russi ammontano a 1.050.000 soldati, 13.000
cannoni, 900 carri e 1100 aerei contro un milione di uomini, 10.000 cannoni, 1.200 aerei e
700 panzer. I sovietici, però, hanno migliorato la qualità dei loro mezzi e tra il 19 e
il 23 novembre sbaragliano 15 divisioni tedesche. Le due ali dell'esercito si incontrano a
Kalac, a 65 km da Stalingrado. Lì, attraverso il ponte sul fiume, passano tutti i
rifornimenti per Pavlov. Ma il ponte è stato minato e le guardie hanno l'ordine di farlo
saltare non appena un soldato russo venga avvistato. Alle 16.30 del 23, il presidio
tedesco scorge una fila di carri armati che si avvicina. E' guidata da tre semicingolati Horch
della ventiduesima divisione panzer, dai quali però spuntano dei soldati sovietici. Il
presidio è annientato e i russi possono passare.
L'ecatombe
L'esercito sovietico si chiude in un anello intorno a Stalingrado e imprimono una svolta
decisiva al corso della seconda guerra mondiale.
Gli avvenimenti del 19 novembre colgono l'OKW totalmente di sorpesa, ed una sorpresa
analoga se non maggiore fu quella del generale Paulus, che, alla sua richiesta di far
ripiegare la sua armata per evitare di essere intrappolato, si sentì rispondere che
"la 6ª armata deve disporsi ad istrice, ed attendere il soccorso dall'esterno".
Un razzo sovietico, esplodendo nell'ufficio di Paulus, non avrebbe prodotto probabilmente
un effetto più deprimente, sull'animo del comandante della 6ª armata, di
quell'ordine di Hitler, che denotava, oltre ad una non adeguata conoscenza della
situazione, anche un disconoscimento della tragedia che le truppe stavano vivendo; dopo
essersi consultato con quattro dei suoi cinque comandanti di corpo d'armata, Paulus fece
appello al Führer "meglio informato", inoltrandogli questo rapporto:
"Dopo la ricezione del suo telegramma del 22 sera, gli eventi sono notevolmente
precipitati. Il nemico ancora non è riuscito a chiudere la sacca a ovest e a sud-ovest.
Ma si delineano i suoi preparativi di attacco da quella parte. Le nostre munizioni e le
nostre riserve di carburante volgono alla fine. Molte batterie e molte armi anticarro
hanno esaurito le munizioni. E' escluso che un rifornimento sufficiente possa essere loro
assicurato in tempo. L'armata andrà incontro al suo annientamento se in brevissimo tempo
non riuscirà, riunendo tutte le sue forze, a battere completamente il nemico che l'assale
da sud e da ovest. A tale scopo è indispensabile ritirare da Stalingrado e dal fronte
nord tutte le nostre divisioni. Come conseguenza inevitabile, l'armata dovrà sfondare in
direzione sud ovest, perché né il fronte nord né il fronte est, così indeboliti,
potranno resistere. Perderemo indubbiamente una notevole quantità di materiale, ma la
maggioranza dei nostri valorosi combattenti, e una parte del materiale, saranno salvi.
Prendo su di me tutta la responsabilità di questa grave comunicazione che le faccio, e
chiedo ancora, a causa di questa stessa situazione, di darmi completa liberà d'azione.
Heil Hitler".
Tale richiesta fu approvata dal comandante del gruppo d'armate B, von Weichs, ed inoltrata
a Berlino; ma in luogo della sospirata libertà di agire, arrivò un altro ordine di
questo tono, che terminava dicendo che l'armata era "momentaneamente accerchiata,
ma deve convincersi che farò di tutto per rifornirla in modo adeguato, e per
disimpegnarla in tempo utile. Conosco la valorosa 6ª armata ed il suo comandate in capo,
e so che ciascuno farà il suo dovere". Su tale disastro, oltre alla follia di
Hitler, pesano in modo decisivo le parole del maresciallo Goring, che garantì di poter
rifornire la città assediata con un ponte aereo assolutamente al di là delle
possibilità tedesche, e che risultò infatti insufficiente all'85%.
Di fronte all'ordine dell'alto comando, Paulus decise di obbedire all'ordine, e così la
6ª armata tedesca si seppellì in una sacca che misurava 60 chilometri di
larghezza e 40 di altezza. Per liberare Stalingrado, Hitler decise di affidare a von
Manstein il compito di spezzare l'anello russo; egli però si ferma a 50 km da
Stalingrado. Paulus e Manstein sono indecisi se disobbedire al Führer e salvarsi o
continuare a resistere. Poi però devono inviare una divisione sul fronte del Don e Hitler
è costretto a ordinare la ritirata, che condannerà la sesta armata ad un'agonia di 76
giorni. I tedeschi sono intrappolati nel gelido inverno russo, e riprendono il modello di
difesa utilizzato in precedenza dai russi. Il ponte aereo non riesce a mantenere la
promessa e fornisce solo 1/5 del necessario agli assediati. L'incerto Paulus raduna tutte
le forze possibili, ma aumentano i casi di diserzione e vengono eseguite 364 condanne a
morte in due mesi.
Sul fallimento del ponte aereo, lo stesso Paulus ritorna spesso nelle sue note: "l'aviazione
ci ha piantati in asso senza mai mantenere quanto aveva promesso... il maresciallo
dell'impero Goring avrebbe dichiarato che il rifornimento aereo non funziona poi
così male laggiù! Non sarebbe male se andasse lui stesso, con i suoi stivaloni, a vedere
un po' quello che accade!". Il capodanno del 1943 porta la temperatura a -40° e
la riduzione della razione di pane da 200 a 100 grammi. Le malattie mietono continuamente
vittime e i malati gravi arrivano a 80.000.
L'8 gennaio i russi chiedono la resa dell'armata, ma Paulus è
costretto a rifiutare per ordine di Hitler. Bisogna dire che, a questo punto,
l'intimazione di resistere "fino all'ultimo uomo" non era priva di valore dal
punto di vista militare, come ci spiega il felmaresciallo von Manstein: "L'armata
doveva seguitare a combattere, anche se non poteva più aspettarsi niente per se stessa.
Ogni giorno che guadagnava assumeva un'importanza decisiva per la sorte di tutto il fronte
tedesco. E non mi si venga a dire che, essendo la guerra già persa, sarebbe stato meglio
accelerarne la fine, per risparmiare inutili sofferenze: questo è il senno di poi... in
quel periodo non si poteva essere sicuri che la Germania l'avrebbe persa militarmente, una
pace di compromesso rimeneva nel campo delle possibilità. Ma per arrivare a questo
bisognava ristabilire la situazione in quella parte del fronte, e per questo era
indispensabile che la 6ª armata continuasse a trattenere le forze nemiche davanti a sé
il più a lungo possibile. Una dura necessità costringeva l'alto comando ad esigere
quest'ultimo sacrificio da parte delle sue valorose truppe". Tuttavia questo
sensato e spietato imperativo che si poneva al generale Paulus era la conseguenza degli
incredibili errori commessi da Hitler e da Goring nella condotta delle operazioni. I
sovietici allora spingono i tedeschi entro le rovine della città ed entrano in possesso
dell'aeroporto. Le razioni diminuiscono ancora e il 20 gennaio vengono macellati tutti i
cavalli. Il Führer però sostiene che "l'armata deve continuare a combattere per
guadagnare tempo". Nell'ultima settimana di gennaio i russi si impadroniscono
dell'aeroporto di Gumrak, l'ultimo rimasto in mano ai tedeschi, che decidono di
abbandonare gran parte dei feriti. I morti non vengono più seppelliti, né i loro nomi
registrati.
Il 30 gennaio Paulus è nominato feldmaresciallo. Hitler dice:
"Mai un maresciallo tedesco si è arreso". Dodici ore dopo
l'artiglieria sovietica scatena la sua offensiva contro i magazzini Univermag,
nelle cui cantine è rifugiato il comando di Paulus. Alle 5.45 del 1° febbraio "I
russi sono davanti al bunker". I tedeschi distruggono la propria postazione e un
ufficiale dice al tenente russo Elcenko: "Il nostro grande capo vuol parlare al
suo grande capo". Elcenko sorride: "Stia a sentire, il nostro grande
capo ha altro da fare. Il suo grande capo, se vuole, deve spicciarsela con me".
Il tenente lo conduce da Paulus. "Ebbene, è finita, così" gli dice
Elcenko. Il feldmaresciallo fa cenno di sì; esce ed è accompagnato dal generale Voronov,
che accetta la resa.
Cosa rimane dopo la battaglia. |
Solo Strecker continua a resistere, fedele agli ordini del
Führer, ma infine dà anche lui l'ordine di cessare il fuoco. Uno degli ultimi
collegamenti radio con Berlino, forse il più significativo sul vero morale dei
combattenti di Stalingrado, giunge, inaspettato, da questi uomini, quando, in risposta
all'enfatico elogio letto da Göring alla radio tedesca, trasmettono a Berlino uno scarno
messaggio: "Prematuri discorsi funebri indesiderati". Nella mattinata
del giorno 2 tutto tace definitivamente. I russi seppellirono, nella sacca di Stalingrado,
147.200 cadaveri, ed ebbero circa 91.000 prigionieri (di cui 24 generali e 2500 ufficiali)
oltre a 6000 cannoni e 60.000 veicoli. Alla cattura sfuggirono, dei 320.000 uomini della
6ª armata, solo 24.000 malati e feriti e 18.000 tecnici e ufficiali superiori, evacuati
in aereo. Dei superstiti, portati nei campi di prigionia della Siberia, torneranno in soli
5000. Alle 14.46 del 2 febbraio un aereo tedesco da ricognizione sorvola a grande altezza
la città e trasmette questo messaggi: "A Stalingrado, nessun segno di
combattimento".