L'esplosione di un deposito americano a
Pearl Harbor durante il bombardamento |
Ore 7.55 del 7 dicembre 1941: sulla base navale americana di
Pearl Harbor iniziano a piovere bombe dal cielo, lanciate dagli aerei giapponesi, che
distruggeranno quasi completamente la flotta americana e causeranno l'entrata in guerra
degli Stati Uniti. L'attacco proditorio conclude una lunga "guerra fredda" tra
Giappone e Stati Uniti, aprendo nel Pacifico un nuovo vasto teatro di azioni militari che
si affianca a quello già attivo in Europa. L'impero del Sol Levante aveva bisogno di
espandersi, per far fronte alla crisi economica affermatasi dopo quattro anni di guerra
con la Cina che avevano dissanguato il Paese: la miseria è diffusa, molti prodotti di
essenziale necessità sono razionati e l'industria tessile, motore dell'economia
giapponese, lavora circa al 40% delle proprie possibilità. Per far fronte a questi
problemi, l'esercito sostiene la tesi di un fulmineo colpo di mano contro il Sud-Est
asiatico, al fine di arricchirsi con prodotti del suo mercato, come riso, petrolio,
stagno, zucchero, tabacco. Così, contemporaneamente all'attacco tedesco alla Francia, il
Giappone decide di occupare l'Indocina francese che, nel luglio del 1941 entrerà a far
parte di quella sfera nipponica di circolo di interessi commerciali denominato Coprosperità
della Grande Asia Orientale. L'impero giapponese assicurava agli Stati Uniti che la
progressiva espansione nel Sud-Est dell'Asia sarebbe stata pacifica, ma il presidente
americano Franklin Delano Roosevelt, grazie a un sistema chiamato Magic della
Marina statunitense, che riusciva a decifrare i codici segreti dei Giapponesi, sapeva con
certezza che le intenzioni del Giappone erano tutt'altro che pacifiche. La Marina
nipponica si preparava a sferrare un attacco fulmineo che doveva vibrare un colpo mortale
agli Stati Uniti.
Il presidente degli USA durante
la seconda guerra mondiale:
Franklin Delano Roosevelt |
Negli Stati Uniti, invece, regnava un clima di
totale isolazionismo e rifiuto della guerra tra la popolazione, che si scontrava con la
convinzione di Roosevelt che il paese sarebbe dovuto scendere nello scontro al fianco
della Gran Bretagna finché questa fosse rimasta nella lotta, per evitare di trovarsi in
seguito a combattere solo per difendere la democrazia in un mondo divenuto nazista.
Roosevelt sapeva che per convincere il paese, che rifiutava la guerra per la
debolezza e impreparazione delle forze armate, e per riuscire a ottenere uno stato che,
ottenendo l'unione interna più completa, appoggiasse lo sforzo militare, era necessario
un avvenimento a carattere di cataclisma che portasse il Congresso a formulare una
dichiarazione di guerra, anche se non vi era la sicurezza che la nazione avrebbe risposto
con uno slancio unanime all'entrata nel conflitto. Era indispensabile che una delle
potenze dell'Asse desse inizio al combattimento, sferrando un attacco drammatico che
avrebbe sconvolto la popolazione e la avrebbe convinta definitivamente della necessità di
partecipare al conflitto.
A Washington il colonnello William S. Friedmann e il suo gruppo di decrittatori potevano
decifrare in tempo utile i codici diplomatici giapponesi ed erano quindi coscienti della
preparazione all'attacco giapponese a Pearl Harbor. Non si riesce a capire, perciò, il
motivo per cui la flotta dell'isola del Pacifico non fosse stata avvertita dell'imminenza
dell'attacco.
L'operazione militare di Pearl Harbor fu ideata dall'ammiraglio
Isoroku Yamamoto e prevedeva una strategia semplice ma estremamente brutale: distruggere
completamente la base avversaria tramite azioni rapide, ottenendo la supremazia nei cieli
grazie alle portaerei. Se l'attacco fosse andato a buon fine, il Giappone avrebbe creato
una barriera difensiva con altre isole del Pacifico che neanche gli Stati Uniti al massimo
della loro potenza avrebbero potuto valicare concedendo ai giapponesi il permesso di
tenere sotto il loro possesso molti tra i territori occupati durante la seconda guerra
mondiale.
Lammiraglio Yamamoto per sviluppare il suo progetto ordinò a un ristretto gruppo di
stato maggiore di studiare un attacco di sorpresa contro Pearl Harbor perché sapeva che
solo un colpo schiacciante assestato alla principale formazione navale avversaria avrebbe
garantito al Giappone una facile conquista dei suoi obiettivi nellAsia
sud-orientale.
Nel mese dagosto del '41 la base dellordine dellattacco fu fornita da
alcune operazioni militari sotto la guida di Yamamoto, il quale aveva anche convinto i
suoi colleghi al proprio progetto, poiché alcuni di essi lo trovavano rischioso e gli
rimproveravano di indebolire eccessivamente il corpo di spedizione destinato al Sud-Est
asiatico, ma soprattutto aveva sottoposto i suoi equipaggi di volo a delle esercitazioni
intense.
Così agli ordini dellammiraglio di squadra Chuichi Nagumo vi erano :
- Il gruppo di assalto, formato da sei portaerei: Kaga, Akagi, Hiryu, Soryu,
Zuikaku e Shokaku con a bordo complessivamente 450 apparecchi al comando dello stesso
Nagumo;
- Il gruppo di appoggio, composto da due incrociatori da battaglia: Hiei e Kirishima,
due corazzate e due incrociatori pesanti agli ordini dellammiraglio
Mikava;
- Il gruppo esplorante dellammiraglio Omori, con un incrociatore leggero,
nove cacciatorpediniere e 28 sommergibili;
- Otto petroliere incaricate di rifornire la squadra in navigazione.
Una fotografia della posizione delle navi americane
nella rada di Pearl
Harbor, nel giorno dell'attacco giapponese |
Lattacco sarebbe stato sferrato allalba del 7
dicembre nel caso in cui il Giappone si fosse deciso per la guerra perché di domenica la
flotta americana si trovava normalmente alla fonda; inoltre, come dichiarava ai suoi
comandanti di unità lammiraglio Ugaki, capo di stato maggiore della formazione
navale, lattacco di Pearl Harbor sarebbe stato la Waterloo della guerra che sarebbe
seguita. Leffetto dellattacco aereo sarebbe stato raddoppiato dalla azione dei
sommergibili nani trasportati in prossimità dellisola Oahu nel Pacifico da
sommergibili di grande crociera.
Il 10 Novembre, in previsione dellattacco di sorpresa, la "forza speciale"
giapponese si muove dalle grandi basi di Kure e Hiroshima: le navi, isolatamente o in
coppia, con rotte variate e differenti per non allarmare lo spionaggio, risalgono il Nord
verso lArcipelago delle Curili, già coperto di neve e spazzato dai gelidi venti
artici.
Il 22 Novembre la potentissima flotta giapponese è concentrata nella baia deserta di
Hitokappa, nell'isola di Etorofu, la più meridionale delle Curili, in attesa di salpare.
La mattina del 26 le navi partono in direzione di Levante e,
affrontando zone di maltempo, ma di scarso traffico commerciale che dovevano
evitare loro cattivi incontri, puntano da nord su Pearl Harbor, in attesa del messaggio in
codice che indicava che le trattative diplomatiche con gli Stati Uniti erano state rotte e
aveva prevalso l'alternativa dell'attacco immediato e fulmineo: "Niitaka Yama
Nobora" che tradotto letteralmente voleva significare: "Scalate il
monte Niitaka". Attraverso tempeste, nebbie e venti gelidi, le truppe avanzano
verso l'obiettivo, con una marcia lenta ed estenuante in mezzo all'oceano.
Il lunedì 1 dicembre alle ore 13, la radio della portaerei Akagi capta le
quattro parole attese che mettono in moto la macchina bellica giapponese e il 2
l'ammiraglio Nagumo rivela agli equipaggi lo scopo del viaggio. Il 4, grazie a una spia
che operava a Honolulu, il dentista giapponese Motokazu Mori, Nagumo apprende che a Pearl
Harbor non erano stati ancora montati i congegni antisiluro ricevuti recentemente dagli
Stati Uniti e quindi l'attacco risultava agevolato. Il comandante delle operazioni aeree,
capitano di vascello Fuchida, è avvertito che, arrivato con i suoi stormi sulla rada
nemica, dovrà darne l'annunci ripetendo tre volte la parola "Tora",
cioè "tigre"; il 6 dicembre, a notte fatta, la flotta salpò
definitivamente contro il suo obiettivo e, dato che gli americani ascoltavano alla radio
programmi ricreativi, vi era la consapevolezza che essi non sospettassero nulla.
A Washington ormai nessuno sperava più nella pace e la decifrazione dei codici giapponesi
permetteva di seguire momento per momento gli eventi che precipitavano verso la guerra,
specie dopo che il segretario di stato, Hull, aveva posto ai giapponesi condizioni
praticamente inaccettabili: rottura del patto tripartito con Germania e Italia,
evacuazione della Cina e dell'Indocina, riconoscimento di Chang Kai-shek. Tuttavia
nessuno sembrava intuire l'eventualità di un attacco.
La rada di Pearl Harbor, in una foto aerea |
A Pearl Harbor era ancora in vigore il servizio di pace e non
vi erano timori, infatti la base era considerata come la sola ragionevolmente
equipaggiata, dato che disponeva per la sua difesa di nove corazzate, tre portaerei,
dodici incrociatori pesanti e nove leggeri, 27 sommergibili, due divisioni di fanteria che
comprendevano circa 43mila uomini, 1107 pezzi contraerei terrestri imbarcati e 227 aerei,
di cui 152 da caccia. Così quando i piloti giapponesi vennero avvistati,
l'ufficiale di guardia, tenente Kermit Tyler rispose che non vi doveva essere
preoccupazione.
Intorno alle 7.50 del 7 Dicembre, venne lanciata la prima bomba dai 183 aerei inviati da
Nagumo e il capitano Fuchida lancia per radio il messaggio "Tora, Tora, Tora"
e tutti i piloti si concentrarono nell'attacco a sette corazzate ancorate al centro della
rada di Pearl Harbor, che erano state scelte come primo obiettivo: i primi cinque siluri
colpirono in pieno la prua e la poppa dell'Oklahoma sulla quale saltarono
impianto elettrico e si bloccarono i cannoni; lo scafo si squarciò in tre parti e in
breve tempo la corazzata affondò. La seconda ad essere affondata fu la California
che fu colta in pieno prima da due siluri e poi da una bomba da 250 chili che distrusse la
corazzata con una tremenda esplosione, facendola rovesciare sul fondo melmoso del porto.
Gli aerei nipponici si scagliarono poi contro l'Arizona, che venne poi subito
centrata da un siluro sotto poppa e colpita da una bomba sulla coperta. E' poi la volta
della West Virginia, demolita con tre siluri, della Tennessee, raggiunta
da due bombe perforanti sulla tolda e, infine, della Pennysilvania, la nave
ammiraglia della flotta sul Pacifico, la quale, pur essendo protetta da due
cacciatorpediniere e ricoverata in bacino, fu raggiunta da una bomba e devastata da un
incendio; altre due bombe aprirono poi spaventose falle nel ponte della Maryland.
Gli effetti del bombardamento giapponese: buona parte
della
flotta USA messa fuori combattimento |
La Nevada, che tentava di prendere il mare, fu colpita
da un siluro e da tre bombe, rischiando di colare a picco e di ostruire l'imbocco della
rada. Intorno stavano esplodendo, bruciando e affondando cacciatorpediniere, incrociatori
e navi ausiliarie, ricoprendo tutta l'isola di un fumo denso e nero. Affondate in poco
tempo le navi, si passò immediatamente alla seconda ondata di bombardamento, diretta
sugli impianti a terra della base. Vennero rasi al suolo gli impianti dell'isola Ford, le
basi aeree di Wheeler e di Hickam Field e l'idroscalo di Kanehoem, vennero mitragliati e
spezzonati i depositi di munizioni, i baraccamenti e le caserme e in totale furono
distrutti 65 dei 231 apparecchi che si trovavano a Oahu. L'attacco dei sommergibili nani
fu invece un completo insuccesso e un sommergibile trasportatore fu distrutto da un aereo
americano; inoltre i giapponesi avevano trascurato l'attacco al deposito di carburante
americano che, se distrutto, avrebbe causato l'immobilità delle truppe statunitensi.
Alle 8.40 il primo attacco nipponico termina e il primo gruppo si ritira con il messaggio
di Fuchida a Nagumo che attribuiva il successo alla missione e dava il via libera al
secondo attacco destinato a completare l'opera di distruzione.
Il bilancio delle operazioni, dopo due ore di continui
attacchi, era impressionante: delle 96 navi americane alla fonda nella base, 18 erano
fuori combattimento, cinque risultavano distrutte (le corazzate Arizona e Oklahoma,
i cacciatorpediniere Cassin e Downes, la nave-bersaglio Utah),
quattro arenate o colate a picco anche se in seguito verranno recuperate (le corazzate West
Virginia, California e Nevada, il posamine Oglala); nove
gravemente danneggiate (le corazzate Tennessee, Maryland e Pennsylvania,
gli incrociatori Helena, Honolulu e Raleigh, il
cacciatorpediniere Shaw, le navi ausiliarie Curtis e Vestal).
Sui campi di aviazione di Oahu erano stati distrutti 188 aerei americani e altri 159
danneggiati; le perdite umane ammontano a 2403 morti americani (2008 della Marina, 109 dei
marines, 218 dell'esercito, 68 civili) e 1178 feriti. Secondo i calcoli di Tokyo i
giapponesi avevano perduto 29 aerei, tra cui 9 caccia, 15 bombardieri e 5 aerosiluranti,
un grande sommergibile e tutti e cinque i sottomarini tascabili. I morti da parte
nipponica erano 64, di cui 55 aviatori. Non si seppe mai quanti fossero stati i marinai a
bordo del grande sommergibile.
Una corazzata americana colpita dalle bombe
giapponesi |
Alle 5.05 (ora in Giappone), l'ammiraglio Nagumo conferma alle
supreme autorità militari nipponiche il "kishu-seiko", il successo dell'attacco
di sorpresa. Sette ore più tardi il Mikado appone il sigillo imperiale al rescritto che
proclama lo stato di guerra con l'America.
Quando alle 14.30 arriva a New York la notizia tramite la radio
dell'attacco del Giappone alla flotta americana nel Pacifico, si leva un'incredulità
generale e Roosevelt, venuto a sapere dell'attacco dal segretario Knox che aveva ricevuto
un messaggio da Honolulu dal comandante in carica delle forze, viene subito a colloquio
con Winston Churchill il quale gli augura buona fortuna. In seguito il presidente
americano scrive su un quadernetto nero un discorso di cinquecento parole che pronuncia
alle 12.29 alla tribuna, in sei minuti, incominciando con queste parole: "Ieri, 7
Dicembre, data che resterà simbolo di infamia, gli Stati Uniti d'America sono stati
improvvisamente e deliberatamente attaccati da forze aeree e navali dell'impero
giapponese...". Il breve discorso elimina ogni dubbio all'incredulo popolo americano
che, il pomeriggio precedente, aveva stentato a credere agli annunciatori della radio e
della stampa.
"Manifesto diffuso negli USA sull'onda
dell'emozione suscitata da Pearl Harbor |
Ad attacco concluso a Washington vi fu un'inchiesta
parlamentare nella quale, oltre alle inchieste militare, "il mistero di Pearl
Harbor", o meglio il mistero della sorpresa di Pearl Harbor, fu oggetto di
un'inchiesta parlamentare i cui verbali, pubblicati nel 1946, constavano di ben 39
fascicoli della serie intitolata Sedute del Congresso. Infatti nessuno riuscì
mai a capire il vero motivo per cui le supreme autorità americane non avessero messo al
corrente la flotta di Pearl Harbor dell'attacco del Giappone, pur conoscendone le vere
intenzioni. Su questo fatto furono scritti numerosi saggi letterari, tra cui il libro del
contrammiraglio R.A. Theobald, che cerca di trovare la verità su questo mistero
attraverso le opinioni o le versioni controverse e riporta anche la
"controversia" dell'autore, che tende ad attribuire a Roosevelt il piano che i
giapponesi sparassero il primo colpo per unificare l'opinione pubblica statunitense,
accusandolo quindi di aver taciuto l'imminenza dell'attacco. Assai più credibile è
comunque la tesi di Truman, successore di Roosevelt alla presidenza degli Stati Uniti, che
attribuisce responsabilità collegiale al suo predecessore, ai circoli di comando,
politici e militari, e all'opinione pubblica, troppo fiduciosi nella pace. Theobald dice
anche che nessuno a Pearl Harbor fu avvertito perché il presidente e i suoi consiglieri,
ossia il generale Marshall e l'ammiraglio Stark, avevano deciso di far fare alla flotta
nel Pacifico la parte dell'esca per adescare la tigre giapponese, e provocare la sospirata
aggressione che avrebbe finalmente fatto entrare in guerra gli Stati Uniti. Questa tesi
non si può però accettare come definitiva senza prima aver pensato che il segreto
intorno ai servizi crittografici è, in tutti i paesi del mondo, il più gelosamente
conservato e se i lettori dei Magics si fossero moltiplicati si rischiava di
rivelarlo, e ciò si doveva evitare. Quando, il pomeriggio del 6 Dicembre, vennero
decifrate le ultime istruzioni agli ambasciatori giapponesi a Washington, che decretavano
la guerra, benché avvertito, Roosevelt non fece niente per avvertire la flotta. Ma, se da
questo silenzio Theobald trae un argomento in favore della sua tesi, si può
ribattere che sin dal 27 Novembre il capo delle operazioni navali aveva già messo in
preallarme la flotta. Tra le varie tesi presentate, la più valida può essere considerata
quella del signor Samuel Eliot Morison, il quale scrive:" Benché messi spesso in
guardia contro tale modo di pensare, i militari sono piuttosto inclini a preparare i loro
piani in base alle intenzioni che attribuiscono al nemico, invece di studiare attentamente
ciò che rientra nel quadro delle probabilità e tenerne conto. Poco importa quanto è
stato detto loro nelle scuole: essi si concentrano sull'idea che si fanno delle
probabilità, scartando tutte le eventualità che non quadrano con quelle. Così avvenne
esattamente a Pearl Harbor". Anche se questo mistero non è stato tuttora svelato,
resta il fatto che l'attacco di Pearl Harbor segnò una svolta fondamentale nella seconda
guerra mondiale, sia perché mietè un gran numero di vittime, sia perché provocò
l'entrata in guerra di una potenza, Gli Stati Uniti, che mutò profondamente l'esito
finale del conflitto.