ORAZIO, Epistole, I 10 - traduzione a cura di Cecilia Cassinari, Leonardo Cazzola, Emilia Flocchini, Luca Fossati, Federico Longobardi, Chiara Momo, Roberta Rossi,  Chiara Salanti, Ilaria Spagnoli, Davide Vampa.

 

A Fusco, innamorato della città, voglio inviare un caro saluto

io che sono innamorato della campagna e che solo su questo punto mi trovo

in profondo disaccordo con lui, mentre per  il resto siamo quasi gemelli

per la perfetta sintonia: qualsiasi cosa uno disapprovi, anche l’altro la disapprova;

mentre andiamo d’amore e d’accordo su tutto come due piccioncini un po’ vecchiotti                         

Tu proteggi il tuo nido, io canto della mia bella campagna

i ruscelli, i ciottoli ricoperti di muschio, gli alberi.

Che vuoi sapere? Vivo da re, non appena mi sono liberato da tutte quelle seccature

che voi invece  in coro esaltate

e come uno schiavo scappato da un sacerdote disdegno le focacce                                                  

però mi accontento del pane più saporito delle torte al miele.

Se è bene vivere in sintonia con la natura

e se, per costruire una casa, come prima cosa bisogna cercare un’area,

conosci un posto più adatto della riposante campagna?

Dove è possibile che gli inverni siano più miti, dove che un vento più fresco                                

smorzi la rovente canicola e le settimane d’agosto,

quando infuria il caldo sotto un sole bruciante?

Dove è possibile che il sonno sia meno agitato dai tormenti che suscita l’invidia?

L’erba è meno profumata o ha meno splendore delle pietre preziose?

Un’acqua forse più pura intasa i tubi di piombo nei quartieri di città                                               

di quella che scorre gorgogliando giù per un ruscello?

Certo il verde cresce anche fra le colonne variegate

e viene decantata una casa che si affaccia su spaziosi giardini.

Cercherai di estirpare il verde con un forcone, ma vedrai che continuerà a ricrescere

e vittorioso furtivamente si insinuerà in tutti gli ostacoli che gli si frappongono.                            

Non chi non sa con perizia distinguere  dalla porpora di Sidone

una semplice stoffa tinta con il rosso d’Aquino

ne riporterà un danno più grave e più profondo,

rispetto a chi non sarà in grado di distinguere  il vero dal falso.

Chi più del giusto si sarà compiaciuto dei successi,                                                                          

una volta girata la fortuna resterà sconvolto. Se idolatrerai qualcosa, ci rinuncerai

a malincuore. Rifuggi da tutto ciò che è grandioso: è possibile anche sotto un povero tetto

godere di una vita migliore di quella dei re e dei loro amici.

Un cervo, dopo aver vinto in battaglia un cavallo, lo teneva lontano dal pascolo

comune, finché il perdente in quell’estenuante contesa                                                                    

implorò l’aiuto dell’uomo e ne accettò il morso;

ma dopo che finalmente riuscì a venirsene via dal nemico, superbo vincitore,

non poté più rimuovere dal dorso il cavaliere né dalla bocca il morso.

Così chi temendo la povertà rinuncia alla libertà

che vale più dell’oro, da stolto si porterà addosso un padrone                                                          

e lo servirà per sempre, poiché non saprà accontentarsi di poco.

A chi non basterà ciò che ha, un po’ come una scarpa,

se sarà più lunga del piede, lo farà cadere, se più corta, gli darà fastidio.

Se sarai contento della tua sorte, vivrai da saggio, mio caro Aristio,

 e non mancherai di rimproverarmi, quando ti sembrerà                                                                  

che io non smetta di accumulare più del necessario.

La fa da padrone o serve il denaro risparmiato per chiunque,

ma è giusto che segua la fune ritorta piuttosto che tirarla.

Ti sto scrivendo da dietro il tempietto fatiscente di Vacuna,

e, tranne perché non siamo insieme, l’umore è buono.