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Atene, V secolo a.C. : l’epoca della prima Sofistica, quando per la prima volta si mise in crisi la concezione di Verità come entità assoluta, oggettiva e universalmente riconoscibile, si sviluppò una teoria cosciente del linguaggio e l’oratoria si definì come techne regolata da una serie di principi fissi trasmissibili attraverso l’insegnamento

La nascita della retorica e l’abbattimento delle verità uniche e precostituite

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Novità dell’approccio sofista

 

       viene elaborata una teoria del linguaggio, che fa dell’eloquenza non più un talento meramente innato, bensì una techne, cioè una forma di sapere che può essere insegnata e appresa, perché regolata da un insieme di leggi e di artifici ben precisi > uso scientifico dell’eloquenza, nascita della retorica;

       si associa al problema del linguaggio una consapevolezza filosofica, ovvero la nozione dialettica del reale, cui spesso segue il relativismo culturale (vedi gli anonimi Ragionamenti doppi, le Antilogie protagoree);

       si fa riferimento a una dimensione politica entro cui il linguaggio è uno strumento imprescindibile di comunicazione e di persuasione (Atene, V secolo a.C.: nascita della democrazia: necessità di una nuova forma di paideia adeguata alle esigenze della nuova classe dirigente). D’ora in avanti la retorica sarà indissolubilmente legata all’attività giudiziaria e politica. Tant’è vero che, venendo a mancare il retroterra politico (come fu ad esempio a Roma nell’età dell’impero), si assiste a uno svuotamento di significato della retorica (esiti della Seconda Sofistica, riflessioni di Tacito nel Dialogus de oratoribus).

 

 

Linguaggio e verità

 

     Scrive Fornero: “L’importanza della parola è una delle grandi scoperte dei Sofisti. Ma essi non si limitarono a celebrarne la potenza, poiché la tematizzarono sul piano filosofico, studiandone i problematici rapporti con la realtà e la verità. Per gli antichi filosofi il linguaggio non costituiva un interrogativo, in quanto essi erano spontaneamente indotti a collegare, e quasi a non distinguere, fra la cosa reale, il pensiero che la conosce e la parola che l’esprime. Essi ritenevano che ciò che vale sul piano logico del pensiero debba valere anche sul piano della realtà e viceversa. Per cui essere = pensiero = verità. I Sofisti, in virtù della loro nuova impostazione, scuotono queste primitive certezze e la realtà dall’altro.”

     Per la prima volta si prospetta dunque la possibilità che invece di una Verità inossidabile e accessibile ai “sapienti” esista una pluralità di opinioni, nessuna più “vera” e incontestabile delle altre, e ognuna potenzialmente vincente se si sanno impugnare le armi della persuasione.

 

 

Vivere in democrazia

 

     Scrive Geymonat: “Vivere attivamente in democrazia significa partecipare ad assemblee, prendervi la parola, far valere con efficace discorso la propria opinione frammezzo alle altre opinioni; e perciò saper pesare la varie accezioni e sfumature dei vocaboli, avere nell’orecchio le più felici espressioni dei poeti, riuscire a disporre i periodi in un ordine che incateni l’attenzione, accenda le fantasie e susciti i consensi: significa insomma possedere quel complesso di cognizioni grammaticali, lessicali, sintattiche, stilistiche, letterarie che costituisce l’arte dell’eloquenza.”

 

 

I Sofisti e la morale

                          

Scrive Untersteiner: “Per il Sofista non esiste effettivamente un’assoluta ορθότης : ορθόν è ciò che talora, mediante ragioni, può essere reso più verosimile di altro, ciò che soprattutto opera in modo persuasivo, finché si presenti qualche cosa d’altro più verosimile. […] Il principio di τόν ήττω λόγον κρείττω ποιειÞν doveva trovare un particolare sviluppo nel mondo della retorica, che in quei tempi si imponeva come un problema pratico e politico, giacché sia nei discorsi giudiziari sia in quelli deliberativi era necessario, per vincere, saper imporre il proprio punto di vista, la propria verità, la quale poteva anche non coincidere con la verità in senso universale: non era dunque la retorica necessariamente immorale, ma perseguiva fini pratici, cosicché doveva rinunciare a un atteggiamento teoretico, su cui l’eloquenza non poteva fondarsi. Protagora non ammette che in ogni dominio sia da attuare, con l’abilità oratoria, in luogo del bene il male ammantato dal luccichio delle apparenze.”

 

 

  Schopenhauer e la dialettica

 

v     “La dialettica è l’arte di disputare, e precisamente l’arte di disputare in modo da ottenere ragione, dunque per fas et nefas.”

v     “La verità oggettiva di una proposizione e la validità della medesima nell’approvazione dei contendenti e degli uditori sono due cose diverse. A quest’ultima è rivolta la dialettica.”

v     “Bisogna separare nettamente il reperimento della verità oggettiva dall’arte di imporre come vere le proprie tesi. Per formulare la dialettica in modo limpido bisogna considerarla, senza badare alla verità oggettiva, semplicemente come l’arte di ottenere ragione, la qual cosa sarà certo tanto più facile se si ha oggettivamente ragione.”

v     “Se ci poniamo come fine la pura verità oggettiva ritorniamo alla mera logica; se invece poniamo come fine l’affermazione di tesi false abbiamo la mera sofistica. E in entrambi i casi il presupposto sarebbe che noi sapessimo già che cosa è oggettivamente vero e falso: ma solo di rado questo è certo in anticipo.”

(Da L’arte di ottenere ragione)

                                                   

 

 

Aristotele e la dialettica

    

Nelle Confutazioni sofistiche Aristotele

     distingue la  dialettica sia dalla sofistica (“una sorta di sapienza apparente senza esserlo”) sia dall’eristica (“un combattimento ingiusto nell’opposizione verbale), per recuperarla come strumento e procedimento ideale per la speculazione filosofica: durante una discussione, “essendo in grado di sviluppare le difficoltà in entrambe le direzioni, in ciascuna vedremo più facilmente il vero e il falso”; “rispetto alla conoscenza e alla saggezza che è conforme alla filosofia, non è compito di poco conto l’essere in grado di abbracciare e d’aver abbracciato con lo sguardo le conseguenze nel caso di ciascuna ipotesi: resta infatti soltanto da scegliere correttamente l’una o l’altra di queste”. Per Aristotele dialettica e filosofia hanno lo stesso scopo, cioè la conoscenza; la dialettica senza filosofia è vuota, la filosofia senza dialettica cieca.

 

 

Gorgia e il crollo delle Verità

 

Le tesi contenute nel Περί του μή όντος:

1.                  niente esiste

2.                  se anche qualcosa esiste, è inconoscibile per l’uomo

3.                  se anche è conoscibile non si può comunicare e spiegare

 

v     Conseguenze:

v     Gorgia scardina l’idea di una verità ultima, unica, oggettiva e universale;

v     se una verità ultima delle cose non esiste, pensiero e parola non sono più in rapporto univoco, ed ogni volta che usiamo il linguaggio possiamo al massimo perseguire l’obiettivo di una verità contingente, che vale solo per l’istante in cui la pronunciamo;

v     la parola diventa uno strumento di persuasione onnipotente

 

 

Gorgia e la parola

 

“La parola è un gran dominatore che, con un corpo piccolissimo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti a calmare la paura, a eliminare il dolore e a suscitar la gioia e a ispirare la pietà… E che la persuasione, congiunta con la parola, riesca a dare all’anima l’impronta che vuole, ce lo insegnano soprattutto i discorsi degli astronomi, i quali, sostituendo ipotesi a ipotesi, distruggendone una, costruendone un’altra, fanno apparire agli occhi della fantasia l’incredibile e l’incomprensibile; in secondo luogo le gare oratorie, nelle quali un discorso scritto con arte, ma non ispirato a verità, suole dilettare e persuadere la folla; in terzo luogo le schermaglie filosofiche, nelle quali si rivela anche con che rapidità l’intelligenza facilita il mutare convinzioni della fantasia. C’è tra la potenza della parola e l’ufficio dell’anima lo stesso rapporto che tra l’ufficio dei farmaci e la natura del corpo.”

(Dall’Encomio di Elena di Gorgia)

 

 

Il giudizio di Platone nel Gorgia

 

Socrate – Da un pezzo mi vado domandando quale mai sarà la potenza di codesta retorica. Dico la verità, quando ci penso, mi appare per la sua potenza quasi divina.

Gorgia – E più stupiresti, se ne conoscessi tutta la potenza. Perché si può proprio dire che la retorica concentri in sé tutte le altre potenze e tutte le domini. Te ne voglio dare una prova evidente. Spesso io stesso mi sono trovato, insieme con mio fratello e con altri medici, presso qualche ammalato, che si rifiutava di prendere una medicina, o che non voleva lasciarsi dal medico tagliare o bruciare; e mentre il medico non riusciva a persuaderlo, io ci riuscivo -  e con nessun altro mezzo se non con la retorica. Perciò io dico che in qualunque città si rechino un oratore e un medico, se è innanzi all’assemblea popolare o a qualunque altro consesso, attraverso una discussione, che si deve scegliere fra i due uno come medico, il medico non avrebbe in nessun modo il mezzo di affermarsi e anche come medico sarebbe preferito l’oratore, dato che egli lo volesse. E con chiunque si trovasse a competere, io dico che il retore riuscirebbe a farsi eleggere nel confronto con qualsiasi altro tecnico, perché non vi è cosa in cui un uomo esperto della retorica non possa riuscire più persuasivo di qualsiasi competente, parlando innanzi a un’assemblea. Tale e così grande è la potenza di quest’arte.

                                                                                      

I Ragionamenti doppi

                 

In quest’opera anonima viene parzialmente confutato il giudizio negativo di Platone sui Sofisti:

     “Io credo che spetti alla medesima persona e alla medesima arte avere la capacità di discutere con rapide risposte, conoscere la verità delle esperienze, saper rettamente giudicare, possedere l’attitudine a fare discorsi politici, sapere l’arte della parola e insegnare intorno alla natura di tutto in relazione alle sue proprietà e alla sua origine. Anzitutto, colui che possiede una conoscenza intorno alla natura di tutto, come non sarà in grado anche di operare rettamente di fronte a ogni situazione? Inoltre anche chi conosce l’arte della parola saprà parlare rettamente intorno a tutto. Infatti è necessario che chi si propone di parlare rettamente parli intorno a ciò che sa. Di conseguenza egli s’intenderà di tutto. Egli infatti conosce l’arte di ogni discorso e tutti i discorsi riguardano la realtà.”

 

 

L’eredità dei Sofisti

 

1.      Crollo di ogni certezza precostituita > dalla Verità universale a un mondo di verità personali e circoscritte > idea pluralistica

2.      nascita della retorica e dell’oratoria: uno strumento di persuasione volto esclusivamente a riscuotere il consenso di un uditorio e a far prevalere la propria opinione

3.      “democraticizzazione” dell’eloquenza che diventa un sapere acquisibile da chiunque

4.      almeno in nuce, la possibilità di manipolare a proprio piacimento il consenso dell’uditorio grazie alle tecniche della retorica

 

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