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Una scena da “Citizen Kane” di Orson Welles

 

I primi decenni del secolo XX, con un excursus riguardante l’evoluzione liberale del principio della libertà di opinione e di stampa e il suo destino attraverso i decenni dei regimi totalitari europei, con il loro sfruttamento intensivo di tecniche propagandistiche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di massa (giornali, radio, cinema, fotografia)

Il sistema liberale: vantaggi e pericoli

Un esempio di anarchia dell’informazione: la Russia rivoluzionaria di John Reed

La politica nell’epoca della società di massa

Propaganda e totalitarismi (fascismo e nazismo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

Il pluralismo come problema

 

Alcune scuole di pensiero sostengono, spesso in maniera discutibile, l’equazione pluralismo = disinformazione, sostenendo ad esempio, come fa Gabutti su “Il Nuovo”, che:

 

 Non è in questione, con il “pluralismo”, la qualità della informazione, se cioè l’informazione sia attendibile e non manipolata, ma la sua spartizione politica e ideologica, affinché a tutte le chiese elettorali sia riconosciuto il diritto di manipolare le notizie liberamente e a proprio vantaggio: un principio passato alla storia della neolingua italiana come par condicio.” 

 

Al di là dell’eccessività di alcune affermazioni, il problema proposto nell’articolo è effettivamente di ampia portata, perché investe i fondamenti stessi della democrazia.

 

 

Liberali e libertà di stampa

 

1644: Milton pubblica Areopagitica, in difesa della libertà di stampa

1694: l’Inghilterra, prima tra tutti i paesi europei, abolisce la censura sulla stampa nazionale. La libertà di stampa diventa un cavallo di battaglia dei liberali, che vedono in essa uno strumento chiave per rendere efficaci i diritti civili, diffondere informazione e garantire una pluralità di punti di vista.

a - per John Milton la libertà di stampa garantisce un forum che permette all’uomo di discernere tra bene e male

b - per John Locke essa garantisce la libertà dell’individuo dall’elite politica dominante

c - per John Stuart Mill essa è il solo mezzo per impedire che le nozioni si trasformino in dogma

 

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John Locke

 

John Stuart Mill

 

I rischi del sistema liberale

                       

            a - con l’espandersi del bacino di utenza, i costi di manutenzione per un giornale sono cresciuti > concentrazione dei media nelle mani dei grandi capitali > monopoli editoriali che hanno reso i giornali voce di ristretti gruppi di potere (lo stesso ragionamento può essere esteso ai nuovi mezzi di comunicazione e in particolare alle televisioni, dove il problema della concentrazione è reso ancora più urgente dall’esistenza di un ventaglio limitato di frequenze disponibili);

            b - il mercato della stampa si è via via regolato secondo i medesimi criteri di domanda e offerta di qualunque altro settore dell’economia > la stampa, ma in maniera ancora più evidente la televisione, diventa  un prodotto che deve prima di tutto rispondere al requisito della vendibilità: il rischio che si profila è che cada così in secondo piano la funzione primaria dei mass media, ovvero quella di informare la gente piuttosto che di andare incontro ai gusti dei “consumatori”.

 

 

I rischi di un pluralismo illimitato

 

Se la censura è un pericolo e una violazione inammissibile delle libertà individuali, esistono tuttavia anche dei rischi comportati dal pluralismo. Presentando una affianco all’altra una quantità indiscriminata di posizioni che si contraddicono reciprocamente, il pubblico – specialmente se si tratta di un pubblico profano, solo mediamente informato e dunque in cerca di riferimenti – si ritrova spesso disorientato, e c’è il rischio che il pluralismo da confronto costruttivo si tramuti in un’anarchia sterile di opinioni divergenti.

 

 

John Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondoimg57.jpg

 

La situazione culturale delle masse russe alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre (I e II)

La mancanza di una censura rigida e la contraddittorietà  delle notizie diffuse tra le masse (III, IV, V, VI)

Il Decreto sulla stampa emanato dai bolscevichi una volta al potere (VII, VIII)

Il difficile sforzo compiuto dalle masse per comprendere la situazione politica a partire dalle notizie apprese (IX e X)

La tattica propagandistica di Lenin (XI e XII)

 

 

La situazione culturale (I)

 

img58.jpg “Al fronte i soldati lottavano contro gli ufficiali e, nei loro comitati, imparavano l’autogoverno. Nelle fabbriche, i comitati di fabbrica, queste organizzazioni uniche, acquistavano forza ed esperienza e prendevano coscienza della loro missione storica di lotta contro il vecchio ordine. Tutta la Russia stava imparando a leggere e leggeva – di politica, di economia, di storia – perché la gente voleva sapere… in ogni città, in quasi tutte le cittadine, al fronte, ogni gruppo politico aveva il suo giornale e a volte ne aveva più d’uno. Centinaia di migliaia di opuscoli venivano distribuiti da migliaia di organizzazioni e si riversavano tra i soldati, nei villaggi, nelle fabbriche, nelle strade. La sete di istruzione, non soddisfatta per tanto tempo, con la rivoluzione esplodeva in una frenesia di espressioni. Solo dall’istituto Smol’nyi nei primi sei mesi, ogni giorno uscirono tonnellate, carrette, vagoni di libri, che saturarono tutto il paese. La Russia assorbiva insaziabile la parola scritta come sabbia ardente assorbe l’acqua. E non si trattava di favole, di storia falsificata, di religione annacquata, di romanzi corruttori da quattro soldi, ma di teorie sociali ed economiche, di filosofia, delle opere di Tolstoj, di Gogol’, di Gor’kij.”

 

 

La situazione culturale (II)

 

 “E quale funzione aveva la parola! I “torrenti dell’eloquenza francese” di cui parla Carlyle erano una pura bazzecola. Conferenze, dibattiti, discorsi, nei teatri, nei circhi, nelle scuole, nei circoli, nelle sale di riunione dei soviet, nelle sedi dei sindacati, nelle caserme… riunioni nelle trincee al fronte, nelle piazze dei villaggi, nelle fabbriche… che spettacolo meraviglioso vedere dalle Officine Putilov riversarsi fuori quarantamila operai per ascoltare i socialdemocratici, i socialisti rivoluzionari, gli anarchici, chiunque, qualunque cosa avevano da dire, fino a quando volevano parlare! Per mesi a Pietrogrado, in tutta la Russia, ogni angolo di strada fu una tribuna pubblica. Nei treni, nei tram, dovunque, nascevano discussioni e dibattiti… […] Ad ogni riunione venivano respinti i tentativi di limitare la durata dei discorsi e ciascuno era libero di esprimere quello che sentiva dentro…”

 

 

Verità e menzogna (III)

 

 “Al Consiglio della Repubblica Kerenskij dichiarò che il governo era pienamente consapevole dei preparativi bolscevichi e che disponeva di forze sufficienti per far fronte a qualunque dimostrazione. Accusò tanto la “Novaja Rus’” quanto il “Rabočij put’” di svolgere opera di sovversione e aggiunse che grazie all’assoluta libertà di stampa, il governo non aveva la possibilità di combattere le menzogne stampate… Dichiarando che questi erano due aspetti del medesimo tipo di propaganda, che si proponeva come scopo una controrivoluzione ardentemente desiderata dalle forze occulte, proseguì: “Io sono un uomo condannato, e non ha nessuna importanza che cosa mi accadrà. Ho però il coraggio di dire che l’altro elemento enigmatico è l’incredibile provocazione creata nella città dai bolscevichi!”

 

 

Verità e menzogna (IV)

           

 “Voglio citarvi i passaggi più caratteristici di un’intera serie di articoli pubblicati su “Rabočij put’” da Ul’janov Lenin, criminale di Stato attualmente nascosto e che noi cerchiamo di trovare… Questo criminale di Stato ha invitato il proletariato e la guarnigione di Pietrogrado a ripetere l’esperienza del 16 e 18 luglio e perora l’immediata necessità di una sollevazione armata…  […] Devo segnalare che le espressioni e lo stile di un’intera serie di articoli del “Rabočij put’” e del “Soldat” assomigliano moltissimo a quelli della “Novaja Rus’”… Abbiamo a che fare non tanto con il movimento di questo o quell’altro movimento politico, quanto con lo sfruttamento dell’ignoranza politica e degli istinti criminali di una parte della popolazione, da parte di una specie di organizzazione il cui scopo è quello di provocare in Russia, costi quel che costi, una folle ondata di distruzioni e saccheggi.” Qui Kerenskij lesse una citazione da un articolo di Lenin: “Pensateci!… i compagni tedeschi hanno il solo Liebknecht, non hanno né giornali né libertà di riunione né soviet… hanno di fronte l’incredibile ostilità di tutte le classi della società… e tuttavia i compagni tedeschi cercano di agire. Mentre noi, che abbiamo  dozzine di giornali, libertà di riunione, la maggioranza nei soviet, noi, i proletari internazionalisti che godiamo della miglior situazione di tutto il mondo, possiamo rifiutarci di appoggiare i rivoluzionari tedeschi e le loro organizzazioni insurrezionali?” Kerenskij quindi proseguì: “Gli organizzatori della ribellione riconoscono così implicitamente che ora in Russia vigono le condizioni ideali perché un partito politico sia libero di agire.”

 

 

Verità e menzogna (V)

           

 “Fratelli cosacchi! Vi si conduce contro Pietrogrado. Vogliono costringervi a combattere contro gli operai rivoluzionari e i soldati della capitale. Non credete a una parola di ciò che dicono i grandi proprietari terrieri e i capitalisti, nostri comuni nemici.”

 “Non credete alle promesse dei bolscevichi! La promessa di pace immediata è una menzogna! La promessa del pane una truffa! La promessa della terra una favola…”

 “Compagni! Siete stati crudelmente ingannati! La presa del potere è stata effettuata dai soli bolscevichi… Essi hanno nascosto il complotto a tutti gli altri partiti socialisti che compongono il soviet… Vi è stata promessa la terra e la libertà ma la controrivoluzione approfitterà dell’anarchia scatenata dai bolscevichi e vi priverà della terra e della libertà…”

 “Il nostro dovere è quello di smascherare questi          traditori della    classe operaia…”

 

 

Verità e menzogna (VI)

 

L’aneddoto del principe Tumanov:

 “Secondo molti giornali il suo corpo era stato trovato galleggiante sul canale della Mojka. Alcune ore dopo la famiglia del principe smentì la notizia precisando che il principe era stato arrestato; la stampa quindi identificò il cadavere come quello del generale Denisov. Essendo ritornato in vita anche il generale, noi svolgemmo delle indagini, e non riuscimmo a trovare una qualsiasi traccia di un cadavere ritrovato da qualche parte…”

 

 

Decreto sulla stampa (VII)

 

 “Nell’ora seria e decisiva della rivoluzione e nei giorni che immediatamente la seguono, il Comitato provvisorio rivoluzionario è costretto ad adottare una serie di misure contro la stampa controrivoluzionaria di tutte le tendenze.

Immediatamente, da ogni parte, si è preso a gridare che il nuovo potere socialista così agendo violava i principi essenziali del suo stesso programma, attentando alla libertà di stampa.

Il governo degli operai e dei contadini richiama l’attenzione della popolazione sul fatto che, nel nostro paese, dietro questo paravento liberale, si nasconde la libertà delle classi abbienti di prendersi la parte del leone dell’intera stampa e, così, di intossicare l’opinione pubblica e confondere la coscienza delle masse. Tutti sanno che la stampa borghese è una delle armi più potenti della borghesia. Specialmente in questi momenti critici in cui il potere degli operai e dei contadini si sta ancora consolidando, è impossibile lasciare la stampa nelle mani del nemico, in quanto essa non è meno pericolosa delle bombe e delle mitragliatrici. Ecco perché sono state adottate misure temporanee e straordinarie allo scopo di arrestare l’ondata di infamie e di calunnie nella quale la stampa gialla e verde sarebbe felice di far annegare la giovane vittoria del popolo.”

 

 

Decreto sulla stampa (VIII)

           

 “Non appena il nuovo ordine sarà consolidato tutte le misure amministrative contro la stampa verranno annullate; e verrà restituita la piena libertà, entro i limiti della responsabilità della legge, in armonia con leggi più aperte e più progredite…

Tuttavia, tenendo presente il fatto che qualunque restrizione della libertà di stampa, persino in momenti critici, è ammissibile solo in quanto dovuta alla necessità, il Consiglio dei commissari del popolo decreta quanto segue:

            1 – Verranno sottoposte a sequestro le seguenti categorie di giornali: a) quelli che incitano alla resistenza aperta o alla disobbedienza verso il governo degli operai e dei contadini; b) quelli che creano confusione travisando chiaramente e deliberatamente le notizie; c) quelli che incitano a commettere reati puniti dalla legge

            2 – La chiusura temporanea  o definitiva di qualunque organo di stampa verrà effettuata solo in virtù di una decisione del Consiglio dei commissari del popolo

            3 – Il presente decreto ha carattere temporaneo e sarà revocato da uno speciale ukaz quando la normalità sarà ristabilita

Il presidente del Consiglio dei commissari del popolo: Vladimir Ul’janov (Lenin)”

 

 

Voglia di capire (IX)

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 “Mai mi è capitato di vedere degli uomini che cercavano con tanta intensità di capire, di decidere. Non si muovevano, fissavano con una sorta di terribile concentrazione l’oratore, le sopracciglia aggrottate nello sforzo di pensare, le fronti coperte di gocce di sudore; uomini giganteschi dagli occhi chiari e innocenti di bambini e il volto di guerrieri da epopea. Poi parlò un bolscevico, uno dei loro, con violenza, con odio. Non gli piacque più di quanto gli fosse piaciuto l’altro. Non era quello il loro stato d’animo. Per il momento erano vennero sollevati  dal corso dei soliti pensieri, e portati a pensare alla Russia, al socialismo, al mondo intero, come se dipendesse da loro la vittoria o la sconfitta della rivoluzione…”

 

 

Ragionare “per bianco o nero” (X)

 

I soldati avevano l’aria di essere umiliati e a disagio, come dei bambini rimproverati ingiustamente. Un giovanotto alto dall’aria arrogante, vestito con uniforme da studente, guidava l’attacco.

“Vi rendete conto, suppongo,” disse con insolenza, “che prendendo le armi contro i vostri fratelli accettate di essere gli strumenti di un gruppo di assassini e di traditori?”

“Ecco, fratello,” rispose uno dei due soldati, con convinzione. “Tu non capisci. Ci sono due classi, vedi, il proletariato e la borghesia. Noi…”

“Oh, le conosco queste scemenze!” lo interruppe bruscamente lo studente. “Voialtri contadini ignoranti, basta che sentiate ragliare qualche slogan. Non capite neanche che cosa significano. Vi limitate a ripeterli come un mucchio di pappagalli.”

La folla scoppiò a ridere. “Io sono uno studente marxista e ti dico che non è il socialismo quello per cui voi state lottando. E’ solo anarchia filotedesca!”

“Oh, sì, lo so,” rispose il soldato, con la fronte bagnata di sudore. “Tu sei una persona istruita, lo si vede subito, e io sono un ignorante. Ma a me sembra…”

“Immagino,” lo interruppe l’altro in tono sprezzante, “che tu credi che Lenin sia un vero amico del proletariato.”

“Certo che lo credo,” rispose il soldato, a disagio.

“Bene, amico mio, lo sai che Lenin ha attraversato la Germania su un vagone piombato? Lo sai che Lenin ha preso soldi dai tedeschi?”

“Beh, non sono molto al corrente,” rispose il soldato, cocciuto. “Ma a me pare che quello che lui dice è quello che voglio sentire io e tutta la gente ignorante come me. Ora, ci sono due classi, la borghesia e il proletariato…”

 

 

L’oratoria di Lenin (XI)

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 “Nient’affatto adatto per essere l’idolo della folla, fu amato e venerato quanto pochi capi nella storia lo sono stati. Uno strano capo popolare, capo per le sue sole doti intellettuali.  Incolore, privo di umorismo, intransigente e distaccato, senza idiosincrasie pittoresche – ma dotato della capacità di spiegare idee profonde in termini semplici, di analizzare le situazioni concrete. Il tutto combinato con l’acutezza e con una grandissima audacia intellettuale.”

“Infine fu il turno di Lenin, che si afferrava al parapetto della tribuna, muovendo sugli astanti i piccoli occhi socchiusi, fermo, in attesa, apparentemente insensibile alla lunga ovazione che si prolungò per diversi minuti. Quando fu finita disse semplicemente: “Ora procederemo all’edificazione dello stato socialista!” Di nuovo questo schiacciante boato umano.”

 

 

L’oratoria di Lenin (XII)

           

 “In proclami eloquenti diffusi in tutta la Russia Lenin spiegava al popolo la rivoluzione con parole semplici, lo esortava a prendere il potere nelle proprie mani, a spezzare con la forza la resistenza delle classi possidenti e a impadronirsi con la forza delle istituzioni governative. Ordine rivoluzionario. Disciplina rivoluzionaria. Conti e controlli rigorosi. Niente scioperi! Niente pigrizia!”

           

 “Seguendo la tattica di appellarsi direttamente alle masse, Lenin comunicò per radio a tutti i comitati di reggimento, di divisione e di corpo d’armata […] il rifiuto di Duchonin.”

Le masse e il Partito

Discorso di Lenin: “L’errore dei socialisti rivoluzionari di sinistra sta nel fatto che, a quel tempo, non si opposero alla politica di compromesso, in quanto erano convinti che la coscienza delle masse non fosse abbastanza sviluppata… Se il socialismo si dovesse realizzare solo quando tutto il popolo avrà raggiunto un sufficiente sviluppo intellettuale, allora non vedremo il socialismo per almeno cinquecento anni…  Il partito politico socialista è l’avanguardia della classe operaia. Non deve lasciarsi arrestare dalla mancanza di educazione delle masse nel loro insieme, ma deve guidarele masse, usando i soviet come organi di iniziativa rivoluzionaria… Ma per guidare chi tentenna, i compagni socialisti rivoluzionari di sinistra devono essi stessi smetterla di tentennare…”

 

 

“Guidare le masse”

 

Il problema evidentemente è che un’espressione come “guidare le masse” implica la convinzione di sapere già che cosa le masse desiderino – solo inconsapevolmente, senza essere in grado di esprimerlo in prima persona e di ottenerlo – e di essere anche gli unici detentori dei metodi con cui conseguirlo. E dunque presuppone l’esistenza di un partito o gruppo di potere che incarna la Verità e pertanto è inattaccabile a qualunque critica od opposizione; perciò si arriva al paradosso di sostenere che “tutti i giornali sono liberi, eccetto la stampa borghese”, cioè tutti i giornali coerenti con le direttive del regime sono ammessi, gli altri no. Affermare l’esistenza di una sola Verità – una sola fede religiosa, una sola ideologia politica… - è letale per la tolleranza; così se un pluralismo indiscriminato fa credere che qualunque verità sia accettabile o comunque lascia aperta la strada anche a palesi menzogne, ed è pertanto controproducente, l’idea che nessun pluralismo sia accettabile è altrettanto pericolosa, se non forse di più. Perché se agli effetti collaterali del primo si può rimediare educando le masse a una maggiore coscienza critica, dando loro maggiori elementi per distinguere almeno tra il palesemente falso e il verosimile, lasciando comunque all’individuo la libertà e la responsabilità di determinare le proprie decisioni, al vuoto di idee portato dalla censura non c’è rimedio.

 

 

Mussolini e la stampa

           

- Da un discorso ai direttori dei quotidiani italiani del 10/10/1928:

 “Io considero il giornalismo italiano fascista come un'orchestra. Il la è comune; è un la che il giornalismo dà a se stesso. Egli sa come deve servire il regime. Ma dopo i la, c'è la diversità degli strumenti, ed è appunto dalla loro diversità che si evita la cacofonia e si fa prorompere la piena e divina armonia, oltre agli strumenti, c'è poi la diversità dei temperamenti e degli artisti.

Ciò precisato, la stampa nazionale, regionale e provinciale serve il Regime illustrandone l'opera quotidiana, creando e mantenendo un ambiente di consenso intorno a quest'opera.”

           

- Da un discorso del 1933 ai dirigenti del Sindacato fascista della stampa:

 “Discorso da soldati a soldati. I giornalisti italiani devono considerarsi militi comandati a guidare il settore più avanzato e delicato del fronte fascista e a manovrare l'arma più pericolosa e potente di ogni battaglia. Il duce si è servito di quest'arma per le prime conquiste, se ne serve ancora per colpire alto, lontano e vicino. Oggi tutta la nazione è blocco e scudo: e tutti i giornali formano una sola bandiera. Pensiero ed azione sono nel commento e nella notizia più fusi che mai.”

 

 

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Le prime riflessioni sul tema sono contenute già nel Mein Kampf, dove egli scrive di aver considerato la gestione della propaganda come il compito di gran lunga più importante nel Partito nazionalsocialista dei primi anni: essa deve dimostrare la progressiva diffusione dell’Idea e tentare di piegare l’intera nazione alla forza di una dottrina. A suo modo di vedere, il vero leader doveva essere più un agitatore che un enunciatore di programmi teorici: raramente, scrive, un grande teorico è anche un grande capo, perché comandare significa essere capaci di muovere le masse. I suoi stessi inizi del resto sono di propagandista militare alla fine della Grande Guerra, al servizio del primo reggimento fucilieri bavarese. “Di punto in bianco mi fu offerta l’opportunità di parlare di fronte a un pubblico più grande. E allora ebbi la certezza di ciò che avevo sempre presentito dentro di me, senza ancora capirlo: sapevo parlare.”

 

 

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Scrive Kershaw: “Fu questa sintesi di spirito messianico e capacità propagandistiche che sancì, fin dai primi anni Venti, la superiorità di Hitler rispetto a tutti i potenziali aspiranti alla guida del movimento nazionalsocialista: nessuno degli altri esponenti di punta del Partito, infatti, poteva mettere in campo contemporaneamente come faceva lui il fascino demagogico dell’oratoria, le doti di trascinatore e l’unità e la forza esplicativa di una visione ideologica onnicomprensiva.”

Scrive Broszat: “Secondo Hitler, tutta la propaganda deve adeguare il suo livello intellettuale alla capacità di comprensione del più stupido dei suoi destinatari. Meglio allora il banale argomento del bianco contro il nero, che i pensieri sofisticati. […] Il tema deve avere effetto esplosivo. […] Non c’è spazio per discorsi saggi da concilio. L’unico scopo è aizzare le ansie e le passioni e infiammare la folla fino al parossismo.”

 

 

La propaganda del Nsdap

 

img63.jpgLa propaganda del Nsdap è caratterizzata da due aspetti vincenti:

- è onnicomprensiva, ossia mira a includere tutti gli aspetti della vita, come recita un manifesto del partito del ’36: “Il partito ha una risposta per tutto o un’opinione su ogni argomento: l’arte, la pace, l’uguaglianza, la religione, le passeggiate domenicali, l’agricoltura e, naturalmente, gli ebrei”;

- è semplice e diretta, indirizzata all’emozionalità e non all’intelligenza, martellante su pochi semplici temi presentati in bianco e in nero.

Del ministero della propaganda si occupava un fedele collaboratore di Hitler, Goebbels, che si assicurò fin dall’incendio del Reichstag la facoltà di esercitare un controllo serrato sulla stampa (la radiofonia era statale e pertanto fu immediatamente nazificata)

 

 

L’oratoria di Hitler

           

img64.jpgScrive George Mosse in La nazionalizzazione delle masse: “L’integrazione della funzione del capo con l’intero cerimoniale può essere rilevata anche nel ritmo stesso e nella struttura dei discorsi di Hitler. Questi insistevano sempre sulla “chiarezza”. Ma chiarezza voleva anche dire una concisione di forma che non lasciasse luogo ad ambiguità. Il suo assioma politico che “il popolo non comprende le strette di mano” fu applicato ai suoi discorsi. I discorsi di Hitler erano in realtà fatti, per le parole da lui usate, per le domande retoriche, per le affermazioni categoriche. In più avevano un ritmo costante nel quale il popolo poteva inserirsi con esclamazioni. Questi ritmi erano bellicosi, aggressivi e in particolare comportavano un timbro di voce di grande effetto. Lo stesso Hitler aveva scritto che i discorsi aprono il cuore del Volk come colpi di maglio. Spesso questi discorsi avevano una costruzione logica, ma la logica interna era mascherata dal ritmo e dal crescendo della voce. Il pubblico recepiva in tal modo la logica del discorso emotivamente, avvertiva solo la combattività e la fede, senza afferrare il contenuto concreto, o senza soffermarsi a riflettere sul suo significato. La folla era attratta dalla forma del discorso, “viveva” il discorso più che analizzarne il contenuto. Hitler sentì molto l’influenza di Gustave Le Bon e ne seguì la massima contenuta nel volume La psychologie des foules, e cioè che il capo deve essere parte integrante di una fede posseduta in comune, che non poteva da lui essere sperimentata o rinnovata. La sperimentazione e l’innovazione da lui introdotte consistettero solo nell’intensificare il significato di ciò che era largamente accettato, e nell’introdurre una visione manichea che trasformava le sue parole in fatti.”

 

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