Marco Tullio Cicerone
Ho voluto inserire una breve biografia di
Cicerone poichè egli è stato il personaggio che più mi ha affascinato durante
lo studio della storia romana.
Uomo politico, pensatore, teorico e, soprattutto,
sommo oratore, Marco Tullio Cicerone visse nell'ultimo turbinoso e inquieto
periodo della Repubblica romana: un periodo cioè in cui le situazioni furono
particolarmente mutevoli, gli uomini vi si adeguarono mentre le grandi
personalità spiccarono per le loro grandi ambizioni.
Era nato ad Arpino presso Frosinone, il 3
gennaio del 106 prima di Cristo, in una famiglia di ricchi possidenti ed era
stato condotto presto a Roma dal padre, insieme col fratello Quinto per
ricevere quell'educazione che preparava i giovani delle classi elevate a
seguire la cosiddetta carriera degli onori, ossia la carriera politica. Era
un'educazione soprattutto letteraria e filosofica, intesa a creare dei buoni
parlatori; si può affermare che l'eloquenza sia stata considerata in tutta
l'antichità come la dote principale dell'uomo pubblico.
Portato per natura all'oratoria, Cicerone
iniziò la sua attività circa a venticinque anni trattando cause civili. Ansioso
di mettersi in vista, il giovane avvocato non esitò ad assumere la difesa di un
uomo accusato di parricidio contro cui si era mosso un potente liberto del
dittatore Silla.
Sebbene l'accusato fosse notoriamente
innocente, nessuno osava difenderlo nel timore di Silla.
Cicerone vinse la causa.
Successivamente, si trasferì prudentemente
in Grecia e in Asia per raffinare, nelle celebri scuole orientali, la sua
oratoria e, in egual tempo, per far dimenticare a Roma la sua audacia di aver
osato opporsi al dittatore Silla. Tornato in patria dopo due anni, iniziava nel
75 la carriera politica andando come questore nella Sicilia e assumendone
quindi il governo. Fu amato dai Siciliani per la sua onestà e, in egual tempo,
rese servigi a Roma inviando forti partite di grano in periodo di carestia.
Ma, tornato, si accorse che tutto questo
aveva giovato ben poco alla sua popolarità: i Romani non si curavano degli
assenti. "Procurai allora" egli scrisse a un amico "di farmi
vedere tutti i giorni e la mia casa fu aperta a tutti".
Gli si offrì un'altra occasione per
acquistare popolarità.
Un uomo politico senza scrupoli, Gaio
Licinio Verre, era stato governatore in Sicilia abbandonandosi a violenze e
ruberie. Accusato, stava per essere assolto dal Senato che voleva difendere il
prestigio delle magistrature romane. Cicerone sostenne audacemente l'accusa in
una serie di orazioni delle quali, solo la prima fu sufficiente a far prendere
a Verre la via dell'esilio.
Il maggior personaggio dell'epoca era
allora Pompeo, il quale con maggior o minor decisione, cercava di indebolire
l'autorità quasi assoluta del Senato. Cicerone abbracciò la sua causa, che era
in definitiva la causa del popolo contro l'oligarchia senatoria e, per alcuni
anni, svolse la sua attività in questo senso. Nel 63 raggiungeva il sommo della
carriera politica venendo nominato console.
E, a questo punto, appare un mutamento
nella sua condotta: egli ora si avvicina al Senato e all'aristocrazia.
In realtà la violenza popolare minacciava
eccessi, e ambiziosi senza scrupoli si appoggiavano al popolo per rovesciare lo
stato e raggiungere il potere. Uno di questi fu Catilina. Dopo aver mirato
invano al consolato, quest'uomo pronto a tutto aveva ordito una congiura che
doveva portare all'uccisione dei consoli e a un colpo di stato. Cicerone,
avvertito, aggredì Catilina con una violenta orazione, pronunciata in Senato
1'8 novembre del 63. Quella notte stessa Catilina fuggiva da Roma. Il giorno
dopo Cicerone parla al popolo dimostrando di avere evitato una strage e
l'incendio stesso della città. Frattanto i congiurati rimasti in Roma preparano
egualmente la sommossa; Cicerone, avvertito ancora una volta, li fa arrestare e
con altre due splendide orazioni al popolo e al Senato, ottiene che siano messi
a morte senza processo.
E' il momento
della sua maggior gloria: popolo e Senato lo acclamano "padre della
patria". Ma le ambizioni non sono ancora placate a Roma. Nel 60, Pompeo,
Cesare e Crasso formano il primo triumvirato per l'ascesa al potere.
Quell'oratore, che adesso sostiene decisamente l'autorità del Senato può
contrastare i loro piani. I triumviri inducono quindi un nemico acerrimo di
Cicerone, il tribuno Publio Clodio, a proporre una legge che condanna
all'esilio chiunque abbia fatto giustiziare senza processo un cittadino romano:
era il caso di Cicerone. Invano il Senato cerca di salvarlo: nel 58 l'oratore
deve andare in esilio rifugiandosi a Tessalonica (Salonicco) e poi a Durazzo,
mentre la sua casa a Roma e le sue ville vengono demolite. Frattanto Pompeo,
impensierito dalla violenza dello stesso Clodio, che mirava al potere, si era
avvicinato al Senato e nel 57, favoriva il ritorno dell'esule. Cicerone fu
accolto trionfalmente; fu deciso che la sua casa sarebbe stata ricostruita a
spese dello stato, sebbene Clodio avesse fatto edificare un tempio sulle sue
rovine. Ma nella Urbs regnava ormai la violenza, per le vie correvano le bande
armate di Clodio e del suo rivale Milone. Il Senato pensava a un'azione di
forza, Cicerone consigliava invece un accordo con Pompeo, approfittando delle
discordie nate fra i triumviri. Ma non era ascoltato e quando col convegno di
Lucca, i triumviri tornarono a unirsi e a imporre il loro potere, Cicerone non
vide altra possibilità che quella di mettersi dalla loro parte. "Poiché
non vogliono amarmi coloro che nulla possono" scriveva al fedele amico Attico
"procuriamo che ci vogliano bene i potenti". E' un periodo triste.
L'oratore, alleato ai triumviri, deve difendere i loro amici anche se suoi
nemici. Nel 51, è inviato proconsole in Cilicia, dove ha anche la soddisfazione
di una piccola vittoria militare su popolazioni ribelli. Nel 50 torna a Roma
per riportare inutilmente la concordia fra Cesare e Pompeo. Scoppiata la guerra
civile, Cicerone segue Pompeo, ma dopo la sua sconfitta, non può fare altro che
avvicinarsi a Cesare. In fondo il suo ideale politico sarebbe per una via di
mezzo, una posizione di centro, come diremmo noi, tra il popolo irrequieto e il
Senato conservatore. Ed egli non ha la forza per sostenerlo ma solo il buon
senso per desiderarlo. Adesso poi, la vita ha scarse attrattive per lui. Nel 47
ha divorziato dalla moglie Terenzia, una compagna fedele ma forse mediocre; nel
45 gli è morta la figlia Tullia, il suo affetto più profondo. Lo stesso anno ha
divorziato dalla seconda moglie Publilia, in cui aveva riposto le ultime
speranze. Cerca ora conforto nella filosofia: quella filosofia stoica che è
sostanziale rassegnazione e virile sopportazione delle avversità. Nel 44 Cesare
viene ucciso. Cicerone crede nella congiura che dovrebbe avere ridato a Roma le
libertà repubblicane. Ma Antonio rovescia la situazione, incita il popolo
contro i congiurati e mira al potere. E contro Antonio, Cicerone si scaglia con
nuova audacia pronunciando quelle orazioni note come Filippiche, perché
ispirate a quelle pronunciate da Demostene contro Filippo il Macedone per
salvare la libertà della Grecia. E' convinto che il giovane Ottaviano sostenga,
con il Senato, la tradizione repubblicana di Roma. Invece Ottaviano si accorda
con Antonio e Lepido nel secondo triumvirato e ognuno dei tre presenta l'elenco
dei propri nemici da eliminare. In quello di Antonio il nome di Cicerone è fra
i primi. Egli fugge a Gaeta e s'imbarca, ma il mare in tempesta sembra
respingerlo, la vita non gli offre più nulla. Cicerone torna a terra, va
incontro a coloro che lo inseguono e si lascia uccidere, il 7 dicembre del 43,
a sessantatré anni.
Si è detto che, come uomo politico,
Cicerone fu sempre dalla parte del più forte. Non è esatto. Egli non fu, come
potrebbe anche sembrare, un volgare opportunista. Era piuttosto uno spirito equilibrato
e non forte, che non mancava di slanci generosi e che avrebbe voluto conciliare
la tradizione romana, rappresentata dal Senato, con le nuove esigenze popolari.
Certo non era un uomo politico. Gli si offrì l'occasione di intervenire con la
sua oratoria in alcuni eventi importanti, che egli non seppe poi dominare ne
sfruttare e nelle lotte politiche del tempo non fu mai un protagonista. Il suo
senso di equità, la sua fondamentale onestà glielo impedivano. Tentò sempre, in
buona fede, di conciliare gli opposti, di giungere a quella serenità generale e
individuale che il suo temperamento richiedeva. Fu decisamente grande come
oratore e come stilista: la prosa latina ha in lui le sue basi. Le battaglie
del foro si offrivano bene al suo spirito appassionato e alla sua eccezionale
facilità di parola. Le sue numerose Lettere, all'amico Attico, ai familiari, al
fratello Quinto, sono un documento non solo letterario ma psicologico, nel
quale lo scrittore si mostra esplicitamente quale è, con tutte le sue doti e
tutti i suoi difetti.
Le sue 58 orazioni ci danno il quadro della
grande oratoria forense romana, fervida e appassionata, che dopo di lui,
avrebbe iniziato la sua decadenza. Le sue opere teoriche sull'eloquenza sono il
più interessante e completo trattato sulle regole di quest'arte che, per i
Romani, non era mai affidata alla semplice improvvisazione ma doveva tener
conto della scelta delle parole, della costruzione della frase, del tono e del
ritmo.
L'opera filosofica, infine, frutto degli
ultimi anni, sebbene non sia originale perché accoglie motivi dalle varie
filosofie greche dell'epoca, ha una particolare chiarezza espositiva e
divulgativa e ci presenta nell'insieme quel senso di equilibrio, o, se vogliamo
"quel buon senso" che era tipico del suo carattere e che mancò alla
sua epoca.
In un affresco di
Palazzo Madama, a Roma, Catilina (isolato, a destra) ascolta la requisitoria di
Cicerone (in piedi a sinistra). Catilina, fallito il tentativo di accedere al consolato nel 63
a.C., aveva organizzato una congiura per impadronirsi