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L'attività edilizia romana

Il devastante incendio del 64 d.C., durante l’impero di Nerone, segnò una nuova fase della vicenda urbanistica ed edilizia di Roma. La città venne ricostruita secondo criteri di razionalità, sicurezza ed efficienza e quasi ogni imperatore lasciò il proprio segno con edifici memorabili: la Domus Aurea di Nerone, il Colosseo di Tito, il foro e i mercati di Traiano, il Pantheon di Adriano, l’arco di Settimio Severo, le mura di Aureliano, le terme di Diocleziano, l’arco di Costantino. La storia dello sviluppo urbanistico e architettonico della città imperiale – che si arrestò nel 330 con l’inaugurazione della nuova capitale, Costantinopoli – è raccontata nel brano della Guida Rossa Roma del Touring Club Italiano.

 

L’attività edilizia dei 50 anni che seguirono la morte di Augusto fu piuttosto contenuta. Determinante fu però, a opera di Tiberio, la conferma del Palatino per la residenza imperiale, mentre allo stesso Tiberio, oltre alla costruzione del tempio del Divo Augusto nel Velabro e agli incentivi per la ricostruzione del Celio devastato da un incendio (27 d.C.), si deve la grande caserma dei Pretoriani (“Castra Praetoria”) edificata all’estremo margine nord-orientale dell’abitato con la nuova tecnica dell’opus latericium destinata subito a notevole fortuna.

 

Un ampliamento verso il Foro della residenza palatina, la prima edificazione del tempio di Serapide sulle pendici occidentali del Quirinale e il parziale allestimento di un circo privato (poi completato da Nerone) nei giardini di Agrippina nell’“ager Vaticanus” furono le opere di Caligola. Quelle di Claudio: due nuovi acquedotti (“Aqua Claudia” e “Anio Novus”) e un ulteriore ampliamento del pomerio che finalmente incluse l’Aventino, devastato da un incendio e ricostruito come quartiere aristocratico; subito dopo la morte dell’imperatore fu avviata la costruzione di un grandioso tempio a lui dedicato, all’estremità nord-occidentale del Celio, al centro di una vasta area libera, circondata e sostenuta da un poderoso muro, con prospetto a due ordini d’arcate, in travertino.

 

Alcune importanti opere furono realizzate nel decennio iniziale del principato di Nerone: un edificio termale nel Campo Marzio, che introdusse nella tipologia balneare il criterio della distribuzione regolare e simmetrica degli ambienti; un nuovo mercato coperto (“Macellum Magnum”) sul Celio; e la prima vera e propria reggia (“Domus Transitoria”) risultante dall’unificazione dei nuclei palatino ed esquilino delle proprietà imperiali. Ma al nome di Nerone è legato l’inizio di una nuova fase della storia urbanistica ed edilizia di Roma, in conseguenza dell’incendio che nel luglio del 64 devastò 10 delle 14 regioni urbane.

 

La catastrofe segnò la fine di una città incessantemente cresciuta in modo irregolare e disordinato, anche se la ricostruzione non fu scrupolosamente attuata con quei criteri di razionalità ed efficienza (ampiezza delle aree aperte e altezza limitata degli edifici e loro isolamento, abbandono del legno e di altri materiali facilmente infiammabili e uso generalizzato della pietra e dei mattoni, diffusione dei portici al pianterreno dei caseggiati ecc.) che pure furono dettati per la “nova urbs”. Furono soprattutto d’impedimento, nei quattro anni residui del principato di Nerone, gli ingenti e onerosi lavori per la realizzazione della nuova sontuosa dimora imperiale (Domus Aurea) che, estesa per una superficie di oltre 100 ettari su buona parte del vecchio nucleo urbano – dal Palatino all’Esquilino e al Celio – comprese costruzioni di vario genere (residenziali, di rappresentanza e di svago, con sequenze e prospettive offerte dalla natura e dall’artifizio) in mezzo ad ampi spazi aperti, con boschi e giardini e un lago artificiale contornato di padiglioni.

 

La vera ricostruzione della città fu pertanto opera dei tre successivi imperatori Flavi, che dovettero anche far fronte alle conseguenze di altri due gravi incendi (del Campidoglio nel 69 e del Campo Marzio e ancora del Campidoglio nell’80). Così Vespasiano e Tito (ai quali si deve anche un allargamento del pomerio) provvidero in primo luogo a restituire al pubblico godimento gli spazi urbani sottratti da Nerone, facendo rientrare la reggia nei limiti del Palatino e smantellando la Domus Aurea tranne l’edificio, nemmeno terminato, del colle Oppio. Poi, a sottolineare il loro programma in termini di “servizi pubblici”, fecero costruire, al posto del lago neroniano e col massimo sfruttamento della tecnica costruttiva basata sull’arco e sulla volta per ottenere insieme praticità e sicurezza, il grandioso Anfiteatro Flavio (o Colosseo) – inaugurato da Tito l’anno 80 – quindi restaurare il tempio di Giove Capitolino e ripristinare quello del Divo Claudio, che Nerone aveva trasformato in ninfeo; realizzare, sulle pendici del “Fagutal”, l’edificio termale (terme di Tito) forse già previsto per la Domus Aurea; infine costruire, al posto dell’antico “Macellum” bruciato nell’incendio del 64, il tempio (o foro) della Pace, che con la sua ampia corte simile a una piazza forense, dotata su un lato di una cella templare affiancata da grandi aule, venne a costituire, con i vicini fori di Augusto e di Cesare e con l’adiacente Foro Romano, un complesso sostanzialmente unitario.

 

Il completamento della ricostruzione e il nuovo assetto della città sono opera di Domiziano. Questi, ultimato il Colosseo con un sistema di gallerie per i servizi, aggiunse tra l’Oppio e il Celio un “quartiere attrezzato” formato da quattro caserme-scuola (“Ludi”) e un ospedale (“Saniarium”) con obitorio (“Spoliarium”) per i gladiatori, un magazzino per le armi (“Armamentarium”) e uno per i macchinari scenici (“Summum Choragium”) e una caserma per i marinai addetti al “velario” (“castra Misenatium”). Sempre nella zona centrale della città, tra il Colosseo e il Palatino, fece rifare la fontana monumentale della “Meta Sudans” ed erigere l’arco in onore di Tito, mentre per sistemare lo spazio rimasto tra il foro di Augusto e il tempio della Pace, percorso dall’antichissima via dell’“Argiletum”, dette inizio alla costruzione di un nuovo foro (“Forum Transitorium”, poi inaugurato da Nerva che gli dette il suo nome), lungo e stretto, senza portici ma con colonnato sporgente dalle pareti e con il tempio di Minerva sul fondo. Si procedeva intanto alla ricostruzione del Campidoglio (con un nuovo rifacimento del tempio di Giove) e del Campo Marzio dove, oltre alla riparazione dei danni degli incendi e al rifacimento dell’Iseo Campense, furono edificati ex novo lo stadio, l’odeon, il portico dei Due Divi col tempio di Minerva, e il tempio della Fortuna Reduce. Ma l’intervento più significativo di Domiziano fu la costruzione del vero e proprio Palazzo imperiale che con la residenza ufficiale (“Domus Flavia”) e quella privata (“Domus Augustana”) occupò tutta la parte centrale del Palatino e, con terrazzamenti e piani diversi e una facciata a esedra, anche le pendici verso il Circo Massimo: una situazione che favorì prospettive ed effetti di scorcio che andarono ad aggiungersi a una generale concezione simmetrica degli spazi e alla ricerca di formule planimetriche mistilinee.

 

Nel II secolo Roma raggiunse i vertici della sua espansione urbana e monumentale (nonché demografica, avendo certamente superato il milione di abitanti). Al principio del secolo, con Traiano, oltre al restauro dei fori di Cesare e di Augusto, della casa delle Vestali e del Circo Massimo, si ebbe la creazione del più grandioso dei fori imperiali (foro di Traiano) per il quale il poco spazio disponibile in una zona ormai tutta edificata fu ampliato con lo sbancamento della sella tra il Quirinale e il Campidoglio, che portò pure all’eliminazione del diaframma che separava la città vecchia da quella nuova del Campo Marzio.

 

La costruzione del “centro commerciale” dei mercati di Traiano – il maggiore e più razionale dei complessi di pubblica utilità, dalle geniali e ardite soluzioni struttive e dalla spazialità di grande respiro – fatto di edifici a più piani, di esedre e di aule voltate e includente un paio di strade, sulle pendici tagliate a terrazze del Quirinale, si accompagnò a quella del foro che, oltre alla solita piazza, porticata e dotata di due grandi esedre, comprendeva la monumentale “basilica Ulpia” a due absidi contrapposte, con le annesse biblioteche e la colonna coclide istoriata.

 

Altri notevoli interventi traianei furono la ristrutturazione delle installazioni del porto fluviale, la costruzione di un nuovo acquedotto (“Aqua Traiana”) e, sul colle Oppio, sopra il palazzo della Domus Aurea definitivamente smantellato e interrato, quella di un altro edificio termale che, ampliato l’organismo balneare con un sistema di spazi aperti circondati da un recinto, fissava la tipologia della grande terma imperiale.

 

Con l’impero di Adriano e degli Antonini, mentre nell’edilizia privata si diffondono, anche a formare nuovi “quartieri razionali” (come quello tra la “via Lata” e il Quirinale), i caseggiati a più piani, dotati di portici e di botteghe e separati tra loro da brevi strade ortogonali, l’edilizia monumentale raggiunge il vertice con il Pantheon rifatto da Adriano (118-125), capolavoro assoluto, di idea architettonica e d’ingegneria, con la sua dimensione spaziale interna perfettamente sferica e avvolgente (e il “compromesso” classicistico del pronao colonnato di tipo tradizionale). Si aggiungano i nuovi templi di Matidia, di Adriano (con la novità della cella voltata) e di Marco Aurelio nel Campo Marzio, di Antonino e Faustina nel Foro Romano, di Traiano a conclusione del foro omonimo e quello colossale, a due celle addossate per le absidi, di Venere e Roma sulla Velia (privo del podio della tradizione romana e con chiara propensione per le forme elleniche, secondo l’atteggiamento classicistico e intellettualistico di Adriano); e ancora i restauri dei palazzi del Palatino, la seconda colonna coclide in onore di Marco Aurelio nel Campo Marzio (dai rilievi che, con la novità del disfacimento delle forme organiche del precedente stile classicistico, denunciano precisi intenti pittorici di tipo “espressionistico”) e il nuovo grandioso mausoleo dinastico fatto costruire da Adriano nei giardini di Domizia, sulla riva destra del Tevere, con un ponte (“pons Aelius”) per collegarlo alla città.

 

Durante il regno di Commodo un ennesimo incendio dà luogo a un’altra serie di restauri e ricostruzioni nella zona fra il tempio della Pace e il portico di Ottavia, insieme ai quali Settimio Severo provvede a far costruire una nuova ala del Palazzo imperiale su gigantesche sostruzioni ad arcate, il colossale ninfeo del “Septizodium” tra il Palatino e il Celio, la caserma “nuova” degli “equites singulares” (la guardia imperiale) nella zona del Laterano, la villa del “Sessorium”, col piccolo Anfiteatro Castrense, all’estremità orientale del Celio, mentre un arco trionfale a tre fornici, interamente rivestito di rilievi affollati e pieni di movimento per il continuo e accentuato alternarsi delle luci e delle ombre, viene eretto in suo onore nel Foro Romano.

 

Il III secolo inizia con la costruzione delle grandiose Terme Antoniniane (inaugurate da Caracalla nel 217 con l’antistante “via Nova”) e il rifacimento del colossale tempio di Serapide sul fianco del Quirinale. Ma subito dopo – a causa della crisi economica e sociale che investe l’Impero e con gli imperatori quasi sempre occupati a salvare il trono dai concorrenti e a difendere i confini dalla pressione dei Barbari – l’attività edilizia subisce un generale rallentamento, interrotto da singoli episodi: il tempio di Elagabalo, costruito sul Palatino dall’imperatore omonimo; l’undicesimo e ultimo acquedotto (“Aqua Alexandrina”) voluto da Alessandro Severo che provvide pure al rifacimento delle Terme Neroniane; le terme dell’imperatore Decio sull’Aventino e il tempio del Sole inaugurato in Campo Marzio, nel 274, da Aureliano. Ma l’unica vera novità che emblematicamente caratterizza il periodo è quella della cinta muraria con la quale, tra il 271 e il 275, lo stesso Aureliano cinge Roma lungo un percorso di quasi 19 km: 650 anni dopo quelle repubblicane, le mura Aureliane racchiudono, su una superficie di circa 1400 ettari, una città quale non s’era mai vista sulla faccia della terra, segnandone in maniera tangibile la misura dei vasti confini, ma decretandone al tempo stesso l’arresto e il ripiegamento su se stessa.

 

L’ultima sostanziosa ripresa d’iniziative edilizie si ha tra la fine del III e gli inizi del IV secolo, con l’avvento della tetrarchia dioclezianea e poi con l’impero di Costantino. Dopo la ricostruzione degli edifici colpiti dall’incendio del 283 (tempio di Saturno e Curia del Senato, foro di Cesare, teatro di Pompeo ecc.), si susseguono: l’edificazione delle terme di Diocleziano (il più grande di tutti i complessi termali romani) nella zona “periferica” nordorientale della città; il rifacimento, a opera di Massenzio, del tempio di Venere e Roma, e la costruzione, per iniziativa dello stesso imperatore, della grandiosa “basilica Nova” (detta poi anche di Costantino) sulla Velia, nuova splendida espressione di straordinaria genialità spaziale e vistoso esempio di quelle caratteristiche di compattezza e unitarietà che contraddistinguono tutti gli edifici della tarda età imperiale; le terme sul Quirinale e la via porticata ai piedi dello stesso colle, a opera di Costantino, e, infine, l’arco onorario dedicato a quell’imperatore dal Senato nel 315, accanto al Colosseo, col quale inizia l’uso di riutilizzare vecchi monumenti per crearne di nuovi.

 

La fine della storia urbanistica ed edilizia dell’Urbe per l’evo antico si ha quando, nel maggio del 330, proprio Costantino inaugura la nuova capitale sulle rive del Bosforo. Nei due secoli (IV e V) che segnano il passaggio all’evo medio, pur restando sostanzialmente intatto l’antico impianto urbano, la città cambia volto per adeguarsi alle sopraggiunte esigenze del Cristianesimo trionfante; anche se i nuovi interventi, a cominciare da quelli costantiniani (come la costruzione della cattedrale di San Giovanni nel sito delle case dei Laterani e della caserma degli “equites singulares”) sono realizzati in zone marginali per evitare ogni competizione coi monumenti del passato. Così, mentre comincia a delinearsi quella che sarà la Roma dei papi, alla Roma dei cesari le autorità civili si limitano a dedicare ancora per qualche tempo solo saltuari lavori di manutenzione e di restauro, il più importante e impegnativo dei quali sarà, all’inizio del V secolo, il radicale rinforzo delle mura promosso da Onorio. Cosa che tuttavia non basterà a impedire alla città il sacco dei Goti nel 410 e quelli, anche più pesanti, dei Vandali nel 455 e nel 472. Gli ultimi restauri, eseguiti per lo più con materiali tratti da monumenti abbandonati, furono promossi dal re ostrogoto Teodorico quando ormai da un quarto di secolo era tramontato, anche ufficialmente (476), l’Impero d’Occidente e iniziato il Medioevo.

 

VIDEO: L'architettura (da Ulisse - I Romani, RAI 3)

 

 

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 Acquedotto romano

I romani furono abili ingegneri e architetti: per le loro grandiose opere pubbliche, conservatesi nei secoli, svilupparono tecniche di costruzione efficaci e innovative. Tra le imprese maggiori figurano gli acquedotti, che erano in grado di trasportare acqua dalle fonti di montagna fino alle aree abitate più lontane, rifornendo grandi città come Roma. I canali dell'acquedotto correvano alla sommità di enormi archi di pietra. Esperti geometri e topografi, detti gromatici, dirigevano la costruzione di queste massicce opere murarie utilizzando strumenti molto precisi, come la groma, che consentiva di tracciare linee dritte e determinare angoli retti. Gli operai erano in grado di sollevare pesanti pietre grazie a imponenti gru mosse da ingranaggi rotanti azionati da schiavi. Una volta raggiunta la città, l'acqua veniva raccolta in bacini e vasche e quindi distribuita attraverso un elaborato sistema di tubi sotterranei, che alimentavano fontane, bagni pubblici e lavatoi. Roma era servita da ben 24 acquedotti, che portavano 984 milioni di litri d'acqua al giorno.

 

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Acquedotto romano, Segovia

Con la vittoria riportata nella seconda guerra punica, i romani sconfissero i cartaginesi e fecero della penisola iberica una provincia. Il dominio di Roma, protrattosi fino all'inizio del V secolo, è testimoniato da numerosi resti archeologici. Nella foto, il grandioso acquedotto di Segovia, tuttora funzionante, che costituisce il maggiore monumento romano della penisola iberica.

 

 

 

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Castrum romano

Lo schema tipico di un castrum romano prevedeva due vie principali: la via pretoria, che attraversava l'accampamento in senso longitudinale, e, perpendicolare a questa, la via principale. In prossimità del punto di intersezione fra le due vie si trovava la sede del comandante della legione.

 

 

 

 

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Accampamento romano, Northumberland

Il castrum romano di Housesteads, nel Northumberland, era uno degli accampamenti stabili in cui erano acquartierate le legioni che difendevano il vallo di Adriano. Nella foto si distingue il praetorium, sede del comandante della legione.

 

 

 

 

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Nelle città dell'impero romano, solo i ricchi nobili potevano permettersi case di proprietà (domus), spesso decorate e arredate lussuosamente. I cittadini meno abbienti abitavano invece in appartamenti in affitto, ricavati da edifici a più piani, detti insulae, simili ai moderni condomini. In alcuni casi, il piano terra dell'insula era una domus privata, che poteva svilupparsi anche su più piani e con un'ala indipendente. Gli ambienti della domus erano disposti solitamente attorno a un cortile interno. L'ingresso introduceva nell'atrium (atrio), una stanza con un'apertura nel soffitto, sotto la quale una vasca, detta impluvium, raccoglieva l'acqua piovana; lungo una parete si trovava un piccolo sacrario dedicato ai Lari (divinità familiari). Tra le altre stanze, spiccava per eleganza la sala da pranzo, detta triclinium, dove si riunivano i componenti della famiglia insieme ai loro ospiti, accomodati su letti e cuscini; nella cucina, molto funzionale, il cibo veniva cotto nel carbone o su piani in pietra riscaldati da fuoco vivo. Le abitazioni più modeste erano invece ai piani superiori dell'insula, spesso arredate in modo molto essenziale, con semplici pagliericci e qualche sedia (ad esempio del tipo pieghevole a quattro gambe incurvate, noto come sella), senza ambienti riservati al pranzo o alla cucina. I locali del piano terra affacciati sulla strada erano sovente botteghe, nelle quali macellai, fornai e artigiani lavoravano e vendevano la loro merce. Nelle immediate vicinanze, una cisterna conteneva l'acqua necessaria a tutti gli abitanti dell'insula.

 

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A Pompei sono state riportate alla luce molte ville romane dotate di peristilio, come quella che si vede in questa ricostruzione. Alla casa si accedeva attraverso le fauces, il corridoio d'ingresso; subito dopo si apriva l'atrium, un cortile al cui centro sorgeva una vasca, detta impluvium, che raccoglieva l'acqua piovana. Intorno all'atrium si aprivano le camere da letto, dette cubiculae, le alae, stanze in cui si onoravano gli avi e gli dei domestici protettori della casa, e una o più sale da pranzo (triclinium). Dall'atrium si accedeva al peristilio, portico colonnato che circondava il cortile interno, attraverso il tablinum, la sala dei ricevimenti del padrone di casa. Intorno al peristilio, che in genere racchiudeva un giardino (hortus) o una piscina, si aprivano altri locali adibiti ad abitazione o ad esercizio commerciale; all'estremità dell'edificio, infine, si trovava l'exedra, sala di soggiorno e di ritrovo che da un lato dava sul peristilio.

 

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Resti di villa romana, Ercolano

In molte case romane come questa di Ercolano, che risale al periodo tra 200 e 80 a.C., si entrava attraverso un atrium, una specie di cortile interno circondato da un portico e con una fontana al centro. In genere le pareti erano intonacate e successivamente decorate con affreschi.

 

 

 

 

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Terme romane

Le terme rivestirono un ruolo centrale nella vita quotidiana di Roma fin dall'età repubblicana; con l'espansione dell'impero, la consuetudine di recarsi regolarmente ai bagni pubblici si diffuse in tutti i territori conquistati, portando alla costruzione di grandi e spesso sontuosi complessi termali, anche nelle province più lontane dall'Urbe. Nonostante l'estensione e l'articolazione delle terme potesse variare notevolmente, la loro struttura architettonica prevedeva sempre alcuni ambienti adibiti a precise funzioni, come l'apodyterium (spogliatoio), il calidarium (sala per il bagno caldo), il frigidarium (sala con vasca di acqua fredda), il tepidarium (sala per il bagno tiepido), il laconicum (stanza per il bagno di vapore). Il riscaldamento delle sale e dell'acqua delle piscine era ottenuto attraverso l'aria calda che correva in condutture sotto il pavimento, proveniente dall'hypocaustum (ipocausto), una camera sotterranea in cui si accendeva il fuoco. Le terme potevano inoltre includere palestre per esercizi ginnici, gallerie coperte per brevi passeggiate, varie sale per incontri e ritrovi.

 

 

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Terme Romane, Bath

Le Terme Romane sono le più spettacolari tra quelle che si trovano nella città termale di Bath, nell'Inghilterra occidentale. Cadute in disuso in seguito al ritiro dei romani, rimasero sepolte per secoli finché furono portate alla luce e riattivate, nel 1755: fu allora che venne aggiunta la cosiddetta Pump Room, nella quale le persone si ritrovavano per fare conversazione e bere le acque terapeutiche pompate appunto dalla sorgente sottostante. Oggi nelle antiche terme della città scorrono oltre 22 milioni di litri d'acqua alla temperatura di 49°C.