11. La peste nera da: "Terra di uomimi" di Guerino Ermacora |
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La peste nera ha devastato il mondo intero per molti mesi. E' finita ormai da un anno, ma Orsola non dimenticherà mai quello che ha visto: cadaveri dappertutto, bambini gonfi per le pustole, vecchi, uomini, donne abbandonate dai parenti, ruberie, rapine, le strade piene di morti, corpi putrefatti che galleggiavano nei canali, gli uomini dei Provveditori che infuriavano e bruciavano le case, le taverne piene di gente che s'attaccava alla vita. Quanti sono stati i morti in Venezia? Forse i tre quinti della città. Dicono cinquantamila a Firenze, forse centomila nella sola Milano.
Attorno al
tavolo, tutti tacciono. Certo, la vita continua, ma un morbo simile non si era
mai visto a memoria d'uomo. A ben guardare, ci sono ancora in giro volti
sbigottiti, stralunati, quelli della gente uscita di cervello: uomini e donne
che vivono stupefatti, quasi estranei alla vita, trascinando nei borghi e nelle
campagne un'esistenza stanca, abbattuti da una disgrazia alla quale non
intendono rassegnarsi. Ma ogni giorno è un giorno nuovo. A poco a poco,
stentatamente, tutti cercano di arrampicarsi verso qualcosa, o attaccarsi a una
speranza, al momento che fugge, alle cose di sempre. Senza dirselo, tutti si sforzano di vivere
ancora un poco, per ricostruire il mondo triste e devastato, nel quale, si
spera, almeno i figli vivranno più a lungo.
22. La peste nera dal "Decameron" di Giovanni Boccaccio (Giornata I, introduzione) |
[…]
Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn'altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de' corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d'inumerabile quantità de' viventi avendo private, senza ristare d'un luogo in uno altro continuandosi, verso l'Occidente miserabilmente s'era ampliata.
E in quella non valendo alcuno senno né
umano provedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da
oficiali sopra ciò ordinati e vietato l'entrarvi dentro a ciascuno infermo e
molti consigli dati a conservazion della sanità, né ancora umili supplicazioni
non una volta ma molte e in processioni ordinate, in altre guise a Dio fatte
dalle divote persone, quasi nel principio della primavera dell'anno predetto
orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a
dimostrare. E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue
del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel
cominciamento d'essa a' maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o
sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una
comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun' altre meno, le quali i
volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve
spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni
parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s'incominciò la
qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali
nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a
molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo
primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così
erano queste a ciascuno a cui venieno.