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27 marzo 2003

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Milano riscopre la filosofia

di Sara Miglietti

Ci sarà bene una ragione se mille persone, in un gelido lunedì sera milanese, si accalcano alle porte del Teatro Franco Parenti per assistere all' "evento del mese" – la conferenza tenuta da Giovanni Reale, Franco Volpi, Giulio Giorello, Emanuele Severino, Massimo Cacciari e Gianni Vattimo in occasione della riedizione degli "Holzwege" di Martin Heidegger. E non credo che tale ragione possa essere semplicemente cercata in un improvviso raptus accademico infuriante fra i nostri concittadini. Tra il pubblico (qualche centinaio di fortunati si è aggiudicato le comode seggiole del teatro; molti si sono accomodati sul pavimento, sulle scale, sui ballatoi, dietro le quinte… appesi al sipario…; altri ancora sono stati costretti a seguire la conferenza nell'atrio del teatro, attraverso altoparlanti) non si trovavano soltanto metà del corpo docenti di filosofia del Berchet, studenti universitari, esegeti e appassionati del grande filosofo tedesco, ma soprattutto gente comune, mossa da umana curiosità, da un interesse che prescindeva una conoscenza approfondita della materia. Presumo che se ne possa trarre questa conclusione: evidentemente il popolo milanese, una volta rintracciato nel tema della conferenza ("La terra del tramonto e della globalizzazione") un interrogativo assillante del nostro tempo, ha creduto che una degna risposta ad esso potesse giungere proprio dalla filosofia, e in particolare da un pensatore chiave del XX secolo, come è senza dubbio Heidegger.

 L'ansia di certezze e di punti di riferimento stavolta pare essersi tradotta non in un tuffo collettivo nel new age, bensì nella cara, vecchia filosofia, che da anni sembrava aver abdicato alla propria missione salvifica, per richiudersi in speculazioni sempre più specifiche, sempre più tecniche, sempre più lontane (almeno apparentemente) dalla nostra vita quotidiana. È stato proprio questo annoso pregiudizio sulla "distanza" della filosofia dall'average man a relegare negli ultimi anni la filosofia stessa in una torre d'avorio del sapere, allontanandola sempre di più dal pubblico. Sulla scorta dell'esperienza personale, garantisco che esprimere i propri entusiasmi filosofici di fronte a un campione di umanità ben assortita genera. Il più delle volte, un boato di disapprovazione e perplessità. Consacrare una vita intera a studi in questo campo si configura, agli occhi di molti, come una sterile chiusura alla vita reale: un presuntuoso ripiegarsi a conchiglia sulla propria cultura.

Pochi conoscono o si curano di conoscere i profondi, profondissimi legami che, al contrario, la filosofia intrattiene con la vita attiva, tanto a cuore all'uomo moderno. Pochi si lasciano convincere da questa incontestabile verità: l'uomo moderno esiste forse solo grazie a, e non nonostante, la ricerca e la speculazione filosofica. Da sempre, la filosofia si è proposta come momento chiave nell'evoluzione del pensiero: fu la prima ad abbattere le barriere del "sonno dogmatico" – come lo definiva Kant; la prima a offrire, come contropartita, una valida pars construens, fondata sulla valorizzazione del ruolo umano nel mondo, e sulla assunzione a "misura di tutte le cose" (Protagora).

Chi contrappone la scienza – quale vero motore del progresso – alla filosofia – annoverata tra i saperi "umanistici" e, in questo senso, tarpata di tutta la sua ricchezza e complessità (ricordiamo en passant che "filosofia" significa letteralmente "amore della sapienza", e non vi sono paletti posti ai suoi ambiti di ricerca) – probabilmente ignora quanto numerosi e decisivi siano stati gli apporti forniti dalla filosofia alla scienza stessa. Ecco che, tornando ad Heidegger, i suoi rapporti fecondi e intensi con Heisenberg (premio Nobel nel '32 e primo a formulare, nell'ambito della meccanica ondulatoria, il principio d'indeterminazione) ci consentono di mettere in luce l'intima connessione tra scienza e filosofia, e di comprendere come i due campi siano spesso complanari, di come interagiscano influenzandosi reciprocamente. Nel corso della conferenza, tale posizione è stata difesa con energia da Giulio Giorello, studioso nel ramo della filosofia della scienza, e propugnatore di una tesi, secondo cui la matematica sarebbe "l'unica globalizzazione davvero riuscita".

Il successo della manifestazione al Teatro Parenti mi incoraggia a pensare che sia tornato un tempo in cui l'uomo voglia cercare nella filosofia l'antidoto al proprio "vuoto spirituale". Quel sapere erroneamente sentito come lontano e auto-referenziale si sta forse "calando nuovamente tra la gente", dimostrandosi in grado di costruire una bussola ideale in un'epoca di diffuso disorientamento. E allora è il caso di dirlo: l'uomo ha chiamato e stavolta, per fortuna, la filosofia si è fatta trovare sveglia e aperta ai suoi problemi.

 

 

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