|
|
![]() |
|||
|
|||
![]() |
|
di Tommaso Canetta Il susseguirsi degli eventi in Venezuela, come una sfera
su un piano inclinato, acquista sempre maggiore velocità, ed il turbinoso
valzer di volti e parole quasi toglie il tempo per la riflessione. Due anni fa
Ugo Chavez veniva eletto presidente con una larga maggioranza, grazie
soprattutto all’appoggio delle fasce più deboli, della cui difesa si era fatto
promotore. Un anno fa un golpe aveva portato al potere i suoi oppositori, ma
nel giro di pochi giorni il governo bolivarista era di nuovo reinnestato. Ormai
diverse settimane fa ha avuto inizio lo sciopero che tuttora paralizza il
paese. Due morti pesano sulla coscienza della nazione. La guerra civile sembra
alle porte. Per chiarire quale sia la causa di tutto ciò, la risposta
dovrebbe essere lunga ed articolata, tuttavia due punti essenziali bastano a
spigarla a grandi linee: primo, il governo di Chavez si è alienato le simpatie
dei magnati del petrolio e dei grandi latifondisti, e questo per colpa di due
leggi (una che espropria dalle mani dell’1% della popolazione il 60% delle
terre e le ridistribuisce più equamente, l’altra che prevede una maggior
partecipazione statale nelle imprese petrolifere che governano il paese).
Secondo, pur essendo piccole élites (quella dei petrolieri e quella dei
latifondisti), queste fasce di popolazione, che hanno buoni motivi per
schierarsi così ostilmente contro Chavez, accumulano nelle proprie mani la
quasi totalità dei poteri non in mano al governo: il quarto potere, ossia
quello di manipolazione dell’opinione pubblica, possedendo la maggior parte dei
mezzi d’informazione; il potere economico, potendo paralizzare le fonti di
sostentamento del paese, come stanno facendo, con la proclamazione del blocco
del traffico petrolifero (completamente sotto il loro controllo); infine,
dispongono del potere militare, per fortuna non ancora esercitato, grazie
all’appoggio esterno degli USA, che potrebbero intervenire sia per avere un
tornaconto, sia per insediare un governo a loro maggiormente favorevole. E’ a
tutti evidente come i vari elementi di questa situazione diano un senso di “già
visto”, richiamando alla mente quella che è stata la storia del Cile di
Allende. Seppur con qualche differenza, infatti, le analogie con quella triste
storia che insanguinò le coscienze dell’America negli anni settanta sono a dir
poco sorprendenti: un presidente di sinistra, delle elites che, private dei
propri privilegi, non badano ai mezzi per riottenerli, dei militari che si
dichiarano pronti a difendere la democrazia dal dittatore-Chavez anche con le
“dure”, ed infine una crisi economica, dovuta al blocco dei trasporti, che
porta la gente alla esasperazione. Quello che ci si augura, ovviamente, è che
l’epilogo sia molto differente da quello di allora; tuttavia, se l’opposizione,
oltre a proclamare colorate e pacifiche manifestazioni, incita la popolazione a
non pagare le tasse e persiste in uno sciopero fatto da pochi (il sindacato che
lo sorregge rappresenta a stento il 7% dei lavoratori), ma che danneggia molti,
ossia i più poveri e deboli, e magari farà sollevare i militari, allora questo
augurio potrà restare solo una vana speranza e la storia sarà costretta a
ripetersi. La situazione, in ogni modo, troverà probabilmente un
epilogo in un lasso di tempo non troppo ampio: infatti la situazione del
Venezuela, maggior produttore di petrolio dell’America Latina, è
inequivocabilmente legata a quella dell’Iraq. Nella previsione di una crisi
petrolifera dovuta ad un intervento armato contro Saddam, gli USA vorranno quantomeno
garantirsi gli approvvigionamenti dal proprio “giardino”; non è dunque
azzardato pensare che “premeranno” per una risoluzione della crisi in tempi
brevi. E’ allora lecito credere che il temporeggiamento degli Stati Uniti, più
che dalla mancanza di prove che dovrebbero venire fornite dalle ispezioni
dell’ONU, sia dovuto alla situazione del Venezuela (senza scordare il ruolo che
svolgono le reticenze degli alleati e quello della Nord Corea). Pertanto,
tenendo conto che la data dell’attacco sembra essere stata fissata, almeno
nelle menti dei generali del Pentagono, ai primi di Febbraio, come fu nel 1991,
bisognerà vedere quale delle molte vie sceglieranno di percorrere gli USA:
attaccare l’Iraq contemporaneamente alla crisi venezuelana, temporeggiare con l’Iraq,
pur tenendolo sotto pressione, ed attendere la risoluzione autonoma della
crisi, tentare una soluzione diplomatica per il Venezuela, oppure intervenire,
più o meno celatamente, nella situazione in maniera diretta, come, spero ci
ricordiamo, fece in Cile negli anni Settanta, correndo il rischio di scrivere
col sangue un altro capitolo dell’America Latina.
|
||||||||||||||||||||||||
powered
by Liceo
Berchet
|
web
editor Namo
Web Editor 5
|
web
design and engineer Nu
Midia Group
|
|||||||||||||||||||||||
|
|
|