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27 marzo 2003

MENSILE D'INFORMAZIONE E LIBERO DIBATTITO

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Il petrolio del Venezuela di Chavez

di Tommaso Canetta

Il susseguirsi degli eventi in Venezuela, come una sfera su un piano inclinato, acquista sempre maggiore velocità, ed il turbinoso valzer di volti e parole quasi toglie il tempo per la riflessione. Due anni fa Ugo Chavez veniva eletto presidente con una larga maggioranza, grazie soprattutto all’appoggio delle fasce più deboli, della cui difesa si era fatto promotore. Un anno fa un golpe aveva portato al potere i suoi oppositori, ma nel giro di pochi giorni il governo bolivarista era di nuovo reinnestato. Ormai diverse settimane fa ha avuto inizio lo sciopero che tuttora paralizza il paese. Due morti pesano sulla coscienza della nazione. La guerra civile sembra alle porte.

 

Per chiarire quale sia la causa di tutto ciò, la risposta dovrebbe essere lunga ed articolata, tuttavia due punti essenziali bastano a spigarla a grandi linee: primo, il governo di Chavez si è alienato le simpatie dei magnati del petrolio e dei grandi latifondisti, e questo per colpa di due leggi (una che espropria dalle mani dell’1% della popolazione il 60% delle terre e le ridistribuisce più equamente, l’altra che prevede una maggior partecipazione statale nelle imprese petrolifere che governano il paese). Secondo, pur essendo piccole élites (quella dei petrolieri e quella dei latifondisti), queste fasce di popolazione, che hanno buoni motivi per schierarsi così ostilmente contro Chavez, accumulano nelle proprie mani la quasi totalità dei poteri non in mano al governo: il quarto potere, ossia quello di manipolazione dell’opinione pubblica, possedendo la maggior parte dei mezzi d’informazione; il potere economico, potendo paralizzare le fonti di sostentamento del paese, come stanno facendo, con la proclamazione del blocco del traffico petrolifero (completamente sotto il loro controllo); infine, dispongono del potere militare, per fortuna non ancora esercitato, grazie all’appoggio esterno degli USA, che potrebbero intervenire sia per avere un tornaconto, sia per insediare un governo a loro maggiormente favorevole. E’ a tutti evidente come i vari elementi di questa situazione diano un senso di “già visto”, richiamando alla mente quella che è stata la storia del Cile di Allende. Seppur con qualche differenza, infatti, le analogie con quella triste storia che insanguinò le coscienze dell’America negli anni settanta sono a dir poco sorprendenti: un presidente di sinistra, delle elites che, private dei propri privilegi, non badano ai mezzi per riottenerli, dei militari che si dichiarano pronti a difendere la democrazia dal dittatore-Chavez anche con le “dure”, ed infine una crisi economica, dovuta al blocco dei trasporti, che porta la gente alla esasperazione. Quello che ci si augura, ovviamente, è che l’epilogo sia molto differente da quello di allora; tuttavia, se l’opposizione, oltre a proclamare colorate e pacifiche manifestazioni, incita la popolazione a non pagare le tasse e persiste in uno sciopero fatto da pochi (il sindacato che lo sorregge rappresenta a stento il 7% dei lavoratori), ma che danneggia molti, ossia i più poveri e deboli, e magari farà sollevare i militari, allora questo augurio potrà restare solo una vana speranza e la storia sarà costretta a ripetersi.

La situazione, in ogni modo, troverà probabilmente un epilogo in un lasso di tempo non troppo ampio: infatti la situazione del Venezuela, maggior produttore di petrolio dell’America Latina, è inequivocabilmente legata a quella dell’Iraq. Nella previsione di una crisi petrolifera dovuta ad un intervento armato contro Saddam, gli USA vorranno quantomeno garantirsi gli approvvigionamenti dal proprio “giardino”; non è dunque azzardato pensare che “premeranno” per una risoluzione della crisi in tempi brevi. E’ allora lecito credere che il temporeggiamento degli Stati Uniti, più che dalla mancanza di prove che dovrebbero venire fornite dalle ispezioni dell’ONU, sia dovuto alla situazione del Venezuela (senza scordare il ruolo che svolgono le reticenze degli alleati e quello della Nord Corea). Pertanto, tenendo conto che la data dell’attacco sembra essere stata fissata, almeno nelle menti dei generali del Pentagono, ai primi di Febbraio, come fu nel 1991, bisognerà vedere quale delle molte vie sceglieranno di percorrere gli USA: attaccare l’Iraq contemporaneamente alla crisi venezuelana, temporeggiare con l’Iraq, pur tenendolo sotto pressione, ed attendere la risoluzione autonoma della crisi, tentare una soluzione diplomatica per il Venezuela, oppure intervenire, più o meno celatamente, nella situazione in maniera diretta, come, spero ci ricordiamo, fece in Cile negli anni Settanta, correndo il rischio di scrivere col sangue un altro capitolo dell’America Latina.

 

 

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