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27 marzo 2003

MENSILE D'INFORMAZIONE E LIBERO DIBATTITO

direttore Federico Longobardi

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La Sua Giustizia

di Elena Quaglia

In Italia vive una persona che viola contraddice e rinnega alcuni dei principi fondamentali della Costituzione, il “manifesto” della repubblica e delle democrazia, che proprio la necessità di contrapporsi alla recente esperienza del regime fascista aveva reso particolarmente equa e giusta. A questa giustizia il suddetto personaggio non sembra prestare grande attenzione. Nel ’92 è entrato in politica (o sceso in campo, per dirla alla sua calcistica maniera) pur essendo implicato in numerosi processi per appropriazione indebita di quote azionarie, falso in bilancio, riciclaggio di denaro sporco. Nell’aprile del ’94 ha vinto le elezioni ma circa otto mesi dopo il suo governo è caduto. Solo a partire dal 2001, una volta riconquistato il potere, ha potuto attuare quello che è a tutti gli effetti uno smantellamento del sistema giudiziario italiano, riformandolo a suo uso e consumo.

Egli agisce contro norme costituzionali che sono alla base di ogni ordinamento democratico:

Articolo 3 Tutti i cittadini (…) sono eguali davanti alla legge;

Articolo 101 I giudici sono soggetti soltanto alla legge ;

Articolo 104 La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere. Contraddice l’articolo 3 quando lancia direttamente e non accuse infamanti  ai pubblici ministeri  di Milano che svolgono indagini a suo carico nell’ambito del processo SME-Ariosto, l’unico dei molti nei quali è stato imputato, che non sia ancora terminato per prescrizione di reato. A suo dire costoro, sporche toghe rosse, lo perseguitano unicamente in quanto uomo politico di destra, divertendosi nel frattempo a sbeffeggiarlo nelle loro numerosissime apparizioni mediatiche e mondane. Il fatto che lui in persona, le sue aziende, i suoi alleati politici controllino quasi tutti i mezzi d’informazione è poi un discorso a parte.

A suo parere dunque la legge non è uguale per tutti: con lui infatti è più cattiva. Quale sarebbe dunque la soluzione? Naturalmente che la legge lo lasciasse in pace, lo lasciasse lavorare per il bene dell’Italia. Il fatto che la questione non verta mai sul reato di cui è accusato dimostra come l’elemento importante sia che lui, in quanto presidente del Consiglio, non possa essere giudicato da persone che dovrebbero essergli sottomesse.

E qui entrano in gioco gli articoli 101 e 104: il nostro amico non digerisce proprio l’idea che i magistrati non possano essere sottoposti ad un diretto controllo politico, o comunque non al suo, visto che, stando a quello che dice, con i suoi avversari politici scendono volentieri a patti.

Tuttavia, grazie al suo senso pratico di presidente-operaio, ha trovato una soluzione anche a questo: ha confezionato norme frettolosamente approvate in Parlamento utilissime a tutti i cittadini e, va bene, anche a lui, ma non è forse anch’egli un cittadino italiano? Dopo un paio di norme ausiliarie (la cancellazione del reato di falso in bilancio e la limitazione della possibilità di impiego delle rogatorie in ambito processuale) dalle fila dell’UDC è arrivata una soluzione apparentemente geniale: la legge Cirami. Grazie all’approvazione di questa norma i difensori di un imputato possono richiedere lo spostamento della sede processuale in caso di sospetto che i giudici siano in qualche modo posti sotto pressione dalle “ condizioni ambientali” del luogo in cui si trovano ad operare. A decidere se la richiesta sia legittima è la Corte di Cassazione. Leggi di questo tipo esistono certo anche in Europa ed erano già esistite in Italia, come si ostinavano a ripetere gli esponenti della maggioranza, ma non possedevano motivazioni così vaghe per lo spostamento del processo, motivazioni ancor più vaghe prima che il presidente della Repubblica chiedesse la modifica di alcune parti del testo. I legali di Cesare Previti hanno subito richiesto lo spostamento dei processi Sme, dove egli è imputato insieme alla persona più volte rammentata, e Imi Sir-Lodo Mondadori, interrompendo così il corso di un procedimento giudiziario che era avviato a concludersi con prove schiaccianti a suo carico, come aveva affermato nell’arringa finale il pm Boccassini. La Cassazione non ha accettato la richiesta, ma questo non significa che la legge Cirami non fosse stata fatta ad hoc per l’imputato Previti, come subito hanno affermato in coro i suoi alleati politici, anzi. La legge era  proprio l’ancora di salvezza per Previti che ora si ritrova con l’acqua alla gola, visto che il processo Imi-Sir finirà a marzo. Semplicemente i calcoli erano stati fatti male: non bisognava accettare le modifiche proposte da Ciampi né lasciare tanto potere ad un organo come la Cassazione che  è pur sempre costituita da quegli sporchi corrotti giudici comunisti. La soluzione doveva essere più drastica: concedere l’immunità ai parlamentari, “perché è il popolo, che elegge i suoi rappresentanti, che ha potere, non i giudici”. A chi afferma questo bisognerebbe ricordare che anche i giudici, in quanto rappresentanti della legge, sono rappresentanti del popolo perché la legge non solo è uguale per tutti, ma è patrimonio di tutti. Inoltre non è detto che chi viene eletto non sia un criminale e penso che l’elettore stesso, se scoprisse di aver votato, lui insieme a molti altri, qualcuno con dei conti da regolare con la giustizia, riterrebbe giusto che questi fosse giudicato, in qualità di semplice cittadino, dalla legge.

Da notare è come tutti i decreti approvati in Parlamento siano d’ostacolo al regolare corso della giustizia. Le rogatorie facilitavano molto le indagini permettendo alla polizia giudiziaria di raccogliere prove anche all’estero. La legge Cirami fa sì che in seguito alla richiesta di spostamento del processo quest’ultimo venga sospeso. L’immunità ai parlamentari impedirebbe alla giustizia di procedere nei loro confronti finché sono in carica. Non sarebbe forse meglio che il governo, a cominciare dal ministro della giustizia Castelli, tentasse di ridurre la durata dei processi, che si protraggono in Italia anche per decenni, come quello per la strage di Piazza Fontana? Sarebbe meglio, certo, ma non è negli interessi immediati di quell’uomo. Giustizia è fatta, dunque, ma solo per lui, Silvio Berlusconi, che nomino solo ora perché, come tutti sanno, è meglio non pronunciare il nome di Dio invano.

 

 

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