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di Jacopo Busnach Ravenna Mi sono sempre immaginato il rapporto che esiste tra europei e americani come una relazione tra cugini, l’uno aitante e irriverente, l’altro tradizionale, ben vestito, vagamente coscienzioso. Entrambi sono orgogliosi della propria identità, ma riconoscono reciprocamente le rispettive realtà. La vita dell’uno integra anche la vita dell’altro, insomma: Roma e Atene, la forza del braccio e quella dell’ingegno, il paragone proposto da Rocco mi sembra molto azzeccato, anche se qui non vale la massima di Orazio per cui victor capta victorem cepit: le due società infatti, pur completandosi a vicenda, potrebbero, se mai lo volessero, vivere di vita propria, rinunciando a brillare di luce riflessa laddove il loro livello di progresso non fosse tale da permettere uno standard sufficientemente competitivo. L’armonia fra queste due civiltà, ancorate a ideali apparentemente vicini fra loro, viene ora compromessa da una crisi che le colpisce nel loro punto comune, la ricerca incondizionata del profitto. La crisi viene vissuta da entrambi più o meno intensamente e a diversi livelli. Dal punto di vista economico, innanzi tutto. Sta venendo meno infatti la fiducia prima di adesso accordata senza riserve dal consumatore al prodotto, con effetti disastrosi in termini di circolazione del denaro. E poi, emotivamente, cresce il senso di colpa per le conseguenze che una cieca adesione al modello utilitaristico ha su una certa fetta di popolazione mondiale, che si vede privata dei più elementari diritti per consentire al cosiddetto Primo Mondo uno stile di vita sempre più agiato. Sta nascendo, a più gradi, la consapevolezza della necessità di abbandonare, o quantomeno ammorbidire, un modello economico che si sta rivelando disastroso anche per l’Occidente, sconsideratamente proiettato verso la forma più becera di capitalismo (tanto per citare un esempio, lo scandalo Enron, che ha già avuto effetti negativi sulla fiducia nella giustizia per via della generale indulgenza con cui sono stati trattati i manager corrotti). L’impero sta crollando, dunque? Io credo di no. Viene da sorridere (ma sarebbe meglio cominciare a piangere) di fronte all’indifferenza di alcuni europei, italiani, giovani, che ritengono -a torto- di “esserne fuori”, tutelati da chissà quale garanzia, disinteressati ed estranei ad un ideale di libertà che si sta sgretolando sotto i loro occhi. Quella subita dalla società occidentale è, se così si può definirla, una battuta d’arresto, una pausa, un pit-stop; occorre fermarsi a “carburare”, a ragionare insieme su quali sono gli aspetti negativi di un modello sì attuale, ma che ha assunto col tempo una fisicità estranea alla sua struttura originaria; si è appesantito, non è stato al passo coi tempi (Machiavelli se ne sarebbe accorto subito...), non ha saputo cogliere le trasformazioni di un mondo e di un popolo oggi non più in grado - né disposto - a mantenerlo così com’è. Ciò ha portato all’emergere di un fermento sociale, delle cui motivazioni i “potenti” non hanno tenuto sufficientemente conto, e che si è risolta in manifestazioni pacifiche di dissenso, da una parte, ed attacchi violenti e inconcludenti, dall’altra. Espressioni diverse e assolutamente non paragonabili della stessa voglia di cambiamento. Come se non bastasse, è in corso un fenomeno di radicalizzazione dell’integralismo religioso -perlopiù islamico- in risposta al precedente tentativo, in parte andato a buon fine, di omogeneizzazione al culto cristiano-cattolico, che si è spesso fatto portatore di valori affini a quelli della società occidentale, adeguandosi alle sue esigenze, ed incontrando quindi un grande favore. L’errore fondamentale, che stiamo pagando, è quello di aver preteso di estendere tali valori a delle realtà che hanno reagito con violenza a questa imposizione, dichiarandosi non disposte a subire passivamente l’influsso di una cultura ad essa prima di allora totalmente estranea, quasi nemica. Detto questo, la mamma non può permettersi di sgridare il bambino perché non mangia la minestra, quando poco tempo prima gli dava da mangiare solo patatine fritte. Così, non è eticamente corretto riversare errori commessi in passato su una generazione, la nostra, cresciuta ed abituata ad un certo standard di vita: e perché mai dobbiamo rinunciare proprio noi al progresso, alla modernità, ai McDonald’s? Penso che sia molto ingiusto scagliarsi contro un modus vivendi fatto nostro col tempo e nel quale sguazziamo (quello che fanno, tanto per buttare lì un nome, i cosiddetti ecoterroristi), specie se chi fa ciò non ha alcuna autorità, si erge a portavoce di una maggioranza che non ha, e parla facendo riferimento a frasi spezzate, magari male interpretate, sicuramente inattendibili. Insomma, ancora una volta, occorre riconoscere, che lo si voglia o meno, il primato fondamentale della politica. La crisi c’è, la soluzione non ancora. Anche se è stata molto confusamente percepita dai no-global, che hanno avuto il merito di portare alla luce il problema. Occorre trasformare un impero dai contorni ormai anacronistici e sorpassati in una grande democrazia, espressione di un popolo sempre più vario e sfaccettato (l’Unione Europea è un primo, importante traguardo), e che veicoli dei valori in grado di opporsi con forza al tentativo di sopraffazione attuato da una ristretta cerchia di uomini, dai quali, attualmente, è bene difendersi.
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