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Il dono di Schaunard

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Avere un dono, una certa predisposizione, qualcosa che ti faccia sembrare diverso dagli altri: è sempre un vantaggio? Leggere nella mente è il dono che tutti vorrebbero; sembra un sogno meraviglioso, ma no, non lo è. Schaunard aveva sessantadue anni, tre figlie felicemente sposate e tanti nipotini che gli volevano bene, una bellissima villa in un paesino vicino a Parigi e tanti amici con cui la domenica giocava a Ramino. Una vita idilliaca, quasi perfetta.... se non fosse per quel maledetto "dono". Lui quando mangiava, entrava nella mente di chi aveva cucinato e captava tutte le emozioni che questo aveva provato mentre cucinava.

Era successo un mese prima, forse per una scossa elettrica. Se n'era accorto quando, aprendo una busta di salmone affumicato, aveva sentito una vocina che si lamentava del freddo che faceva in Norvegia e di quanto questi dannati salmoni fossero difficili da pescare. Un giorno, poi, andò al ristorante cinese con le sue figlie; appena rotta col coltello la crosta di un fragrante "involtino primavera" sentì una voce che diceva strane cose in una lingua incomprensibile che lui, con logica ferrea, immaginò essere Cinese.

A Schaunard venne in mente questo buffo episodio quando, un grigio venerdì di pioggia, si recava a festeggiare il suo compleanno in famiglia. Ci sarebbero stati tutti: le figlie, i loro mariti, i suoi nipotini. Ne era felice; non sapeva ancora che quel pranzo sarebbe stata la sua rovina. Suonò al campanello della casa della maggiore delle sue figlie, Marguerite, che lo accolse trillante e affettuosa. In sala da pranzo le altre figlie, con i loro mariti, gli si fecero intorno allegramente e gli porsero il loro regalo: una cravatta gialla a scacchi blu.

Schaunard mise la cravatta e fu accompagnato al suo posto dalla figlia minore, Velma. Si sentiva felice, così amato e coccolato. Marguerite annunciò che il pranzo era pronto e portò in tavola i suoi "vol-au-vent". Tutti in silenzio gustavano quella meraviglia preparata in onore del vecchio Schaunard. Solo lui, al primo boccone sentì tante voci confuse alle quali, in principio non diede gran peso, ma sussultò nel sentire la voce della stessa Marguerite. "Che si possa strozzare quel malaugurato vecchiaccio! Io lo so perché è qui: perché è uno scroccone! Uno scroccone! Ma io sono qui che mi ammazzo di lavoro e lui che fa? Viene qui per scroccare. Scommetto che non apprezzerà neanche il mio antipasto. E poi figuriamoci se si scomoda a portarci qualcosa. Nossignore; sempre a mani vuote lo scroccone!"

Schaunard inghiottì l'amaro boccone e nervosamente cominciò ad accavallare e disaccavallare le gambe. Sembrò calmarsi quando Brigitte, la seconda figlia, annunciò il suo coreografico "Gigot glacée au miel" . Tutti stavano in silenzio con un'espressione di estatica approvazione stampata sulla faccia. Schaunard sentì la voce di Brigitte: "Quello lì non mi ha mai voluto bene. Sempre Velma di qua... e Marguerite di là... e io? Io cosa sono per lui? Scommetto, poi, che toccherà a me accudirlo tra poco, quando sarà più vecchio. Le care Velma e Marguerite non si scomodano mica eh?" A Schaunard cadde una lacrima nel contorno.

Arrivò il dolce di Velma e la sua voce, penetrante come un martello pneumatico, entrò nella mente di Schaunard: "Be' se non altro tra poco avrò la mia bella eredità; peccato doverla spartire con quelle due arpie... Io me la merito, la voglio solo io. Il povero vecchio amava me, non quelle due. Illuso lui e illuso tutte se pensano che mi arrenderò facilmente."

Schaunard corse in bagno. Si guardò allo specchio e si strappò la cravatta gialla a scacchi blu. Non avrebbe fatto cose da film come gettarsi nella Senna o dalla Tour Eiffel. Sarebbe tornato alla sua vita, triste, monotona, con le sue domeniche con gli amici e i pranzi familiari. Non avrebbe neanche fatto il testamento. Decise di lasciare tutto così, come se niente fosse successo, disprezzando la sua famiglia al punto da non ritenerla degna della sua morte.

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