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Giornata della Memoria

MEMORIA O CELEBRAZIONE?
 

“Meditate che questo è stato.”

L’affermazione di Primo Levi risuona di antico in quell’ è stato : l’azione indicata da questa voce verbale non indica una conclusione del fenomeno, la sua manifestazione chiusa ed esaurita. 

è stato

vuol dire che si è realizzato; che il fatto di cui si parla, raggiunta una sua compiutezza, ha acquistato una forma, una consistenza, un’esistenza

è stato

vuol dire che appartiene alla nostra storia, che noi siamo figli anche di questa storia.

Chi tra noi ha un’età compresa fra i 30 e i 60 anni, il che vuol dire gran parte del corpo docente, in questo momento costituisce l’ultima eco diretta di chi, a viva voce, testimonia ancora delle atrocità perpetrate con le leggi razziali e con il delirio di onnipotenza che ha giustificato lo sterminio di uomini da parte di uomini.

Una parte del problema che alcuni si pongono, “perché celebrare la Giornata della Memoria”, cosa fare, cosa dire, in realtà riguarda un problema nostro: nella famiglie d’origine o d’adozione tutti noi abbiamo fatto le spese con ricordi delle deportazioni o delle persecuzioni ancora molto vivi, a tratti volutamente deformati – scopo la sopravvivenza-, a volte finalmente elaborati in forma di racconto, di testimonianza incessante, di ripetuta evocazione  di eventi la cui difformità dal credibile ce li ha resi fastidiosi all’ascolto. La storia dell’ultima guerra è ancora una nostra storia di famiglia; e come tutte le storie di famiglia può turbare perché ci coinvolge, o ci lascia indifferenti perché desideriamo che non ci riguardi.

Credo che, soprattutto a scuola, si debba salvare e tutelare l’atto del RICORDARE come uno dei fondamenti etici dell’individuo; la scuola deve farsi carico della difesa di valori che, al di là di ogni morale e ideologia, caratterizzano l’uomo nel suo essere dotato di coscienza, consapevolezza, percezione della propria collocazione nel tempo.

Per gli uomini di cultura occidentale l’origine del pensiero storico sta nel desiderio di affidare alla memoria e al ricordo, di sottrarre all’erosione determinata dal tempo, ciò che è stato visto.

E’ il senso del proemio con cui Erodoto, circa 2500 anni fa, apriva le sue ‘Storie’: nell’ istoreîn è racchiuso l’atto di chi narra ciò che ha visto per il bisogno di renderlo patrimonio collettivo.

Ma di fronte alla Shoah la vista non basta; potremmo non credere neppure ad essa; potremmo ubriacarci di documenti avidamente inseguiti alla ricerca dei  perché, delle ragioni, degli espedienti per porre rimedi, giustificazioni, potremmo creare nuove dimenticanze, pronti a difenderci dal bisogno di non voler credere.

Non illudiamoci che il solo ‘ricordare’ possa essere un rimedio agli orrori del passato; così facendo la “celebrazione” sarebbe un rito per acquietare le coscienze, per assolverci dal dovere di capire, per esimerci dal constatare che capire richiede fatica e impegno e volontà e fede; quella che anche Primo Levi invoca come una qualsiasi fede, una fiducia nel fatto che il mondo possa comunque proseguire, anche senza di noi, perché quello che di noi volevamo e potevamo dare l’abbiamo dato.

Il senso della Giornata della Memoria sta allora nel desiderio di tener deste le coscienze, nel fare esercizio di vitalità intellettiva, perché cancellare il passato non è atto che si addice alla complessa naturalità dell’essere uomo e cittadino.

27 gennaio 2004

Rossella Sannino 

 
 

 

 

 

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