“Pulchritudo est
veritatis splendor” San Tommaso d’Aquino
ANNO IV NUMERO I |
FEBBRAIO 2004 |
"La gente ci
guarda con occhi dolci". I carabinieri
italiani in Iraq Dopo l'Onu e la Croce Rossa, i Carabinieri. Colpendo i nostri soldati si è colpito al cuore l'Iraq che collabora
con gli stranieri per rinascere libero, si è colpita al cuore l'unica vera
Resistenza irakena esistente, quella contro la milizia di Saddam e del
terrorismo internazionale. Sono il segno vivente della cooperazione, del
dialogo, della ricostruzione possibili. Per questo sono amati dal
popolo che li implora di non andarsene e odiati dai terroristi. "Non sono stati gli iracheni, sono terroristi stranieri che
vogliono portare il caos in Iraq" dice Monsignor Emmanuel-Karim Delly,
arcivescovo emerito di Baghdad. I 19 caduti italiani di Nassiryah sono martiri, testimoni veri di
pace; 17 tra loro sono morti con le armi in pugno, da soldati quali erano:
perché il Male esiste e le cose buone nel mondo bisogna difenderle, anche
con il fucile se ultimamente inevitabile. Chi oserà ancora giustificare tale tetra violenza? Come si può
chiamare "Resistenza" questi banditi, terroristi adoratori della
Morte? Giornalisti e politici senza vergogna continuano a farlo: a chiamare
patrioti i torturatori del regime, partigiani gli assassini di innocenti. Sessant'anni fa avrebbero chiamato
"Resistenza" le camicie nere della Repubblica Sociale. Tommaso Bardelli
L'Arma è a Nassiryah a portare la pace, non è truppa
d'occupazione, né un esercito coloniale; i suoi uomini pattugliano le
strade per renderle vivibili, lavorano perché sia assicurata un minimo di
sicurezza, perché scuole e infrastrutture tornino a funzionare; arruolano,
riorganizzano e addestrano la futura polizia irachena. "La
gente ci guarda con occhi dolci" dice uno di loro intervistato dalla
televisione.
Sono partiti lasciando le mogli e i figli, rischiando coscientemente la
vita per assistere una popolazione mancante di tutto. Quale bandiera
arcobaleno, manifestazione, sit-in, pigra okkupazione vale una milionesima
parte di questo sacrificio? Non sono "morti per niente" come
sostengono i pacifisti ad oltranza. Lo stesso
Giovanni Paolo II, contrario fino all'ultimo all'intervento armato in Iraq,
li onora commosso.
Questi che vorrebbero un nuovo Vietnam, un bagno di sangue per gli
Occidentali, che giustificano le stragi dei fondamentalisti
islamico-fascisti sono i veri nemici della pace e
della libertà.
E così, eccoci di nuovo qui! La scuola è ormai
cominciata da più di quattro mesi e anche il Corsaro si ripresenta (più o meno) “puntualmente” ad allietare gli
studenti impegnati con le sudate carte
(citazione prontamente corretta dai professori in studi leggiadri). Adeguandosi al vecchio adagio di cultura popolare
che recita “anno (scolastico o meno) nuovo, vita nuova” il Corsaro, lasciato il buon vecchio direttore Valvo, insieme ad altri
valenti collaboratori, ai lidi universitari, si riveste di nuovo rafforzando le
sue schiere di altri attenti redattori; anche se non avremo più il pungente
giudizio di Paolo Valvo, l’acuta e “sottile” ironia di Magna o la sapienza
musicale di Marta Rettani, continueremo a stupirvi con numerose e regolari
rubriche: ormai immancabili le “chicche” del nostro Tommaso Bardelli, per non
parlare dei succulenti bocconcini editoriali del sottoscritto o delle puntuali
recensioni musicali e cinematografiche, arricchite dai notevoli pezzi della
nostra ultima campagna acquisti; insomma le ottime “new entries” non ci faranno
certo avere rimpianti!
Il Corsaro,
uscito dal porto delle intenzioni (citando una frase della tenera età di questo
giornale) ormai quattro anni fa, ha finora navigato, anche incontrando
difficoltà, e intende anche quest’anno essere uno strumento per tutti gli
studenti del nostro liceo per essere informati su ciò di cui di solito nessuno
parla e per dare voce a ciascuno.
La Redazione inoltre coglie l’occasione per dare il
benvenuto ai colleghi de “Il Flogisto” con cui speriamo sia possibile costruire
un dialogo serio e costruttivo e che possa toccare tutti gli argomenti che
realmente interessano noi del Berchet. Tuttavia l’augurio più grosso è che non
facciano la fine di una “Locomotiva” deragliata o di un “Megafono” a cui, a quanto
pare, si erano scaricate le pile!
Con questo non rimane che augurare a tutti voi un buon
anno con la speranza che questo giornale sia un aiuto a tutti nell’imparare a
vedere il mondo con occhio critico.
Sul frontespizio del Corsaro da qualche anno è riportata la scritta “Periodico
studentesco berchettiano di attualità, cultura e libero scambio di idee”;
proprio per questo invitiamo tutti a intervenire per migliorare il nostro
lavoro mandando suggerimenti, critiche o anche possibili articoli al nuovo
indirizzo e-mail del giornale: corsaro@liceoberchet.it
Matteo Zoppi
SOMMARIO Pagina 2: Uomini di pace a Nassirja /
Croce, Crociate e Crocifissi: Errata Corrige! Pagina 4:
Alla Scoperta di Milano / Colonna Sonora Pagina 5: Cinematic Pagina 6: Taz & Bao
UOMINI DI PACE A NASSIRJA
Il
12 di novembre la strage di Nassirja lascia l’intera
nazione senza parole, ammutolita davanti a ciò che l’uomo può fare, o, in questo
caso, distruggere. Nei giorni immediatamente successivi tutte le forze
politiche cercano di far tacere le polemiche e si stringono attorno ai caduti
e alle loro famiglie; ma già da subito si evidenzia il problema del ritiro o
meno delle nostre truppe dall’Iraq. Chi vede l’intervento italiano in questo
paese come una forma di sottomissione nei confronti degli alleati
statiunitensi chiede il ritiro immediato dei nostri militari appellandosi al
fatto che noi non dobbiamo nulla agli USA. A mio parere i soldati che sono
morti e quelli che opereranno da adesso in poi, non rischiano la vita in nome
di una sudditanza, ma nel tentativo di dare una pace duratura ad un popolo
tanto colpito da tirannie e guerre. Chi, come me, ha avuto la fortuna di
vedere il documentario girato da Rolla, il regista morto nell’attentato, si è
potuto rendere conto di quale rapporto si stesse creando tra i nostri soldati
e gli abitanti di Nassirja: durante le ispezioni i soldati camminavano tra la
gente, salutavano chi incontravano e davano acqua ai bambini che la
chiedevano loro. Alcuni soldati andavano periodicamente nell’orfanotrofio
della città a portare biscotti o semplicemente a salutare gli orfani. Su quest’atteggiamento
tipicamente “italiano” mi ha colpito molto un passaggio dell’articolo di
Giorgio Vittadini comparso su Il Giornale del 18 novembre: «L’italiano,
quando è se stesso non sarà mai un colonialista, non sarà mai un |
arrogante
invasore, non sarà mai dalla parte dei veri potenti del mondo o dei no global
distruttori di positività e civiltà.La sua memoria è piena di fame, di
miseria, di guerre portate da invasori, di ingiustizie
subite […], ma anche di gusto del bello e del vero». E
cosa c’è alla radice di questa “italianità”? «Quella fede così discreta,
simboleggiata dai rosari dati nella camera ardente dei militari morti»
risponde Vittadini. Proprio
questo “istinto missionario” quasi innato negli italiani deve spingerci a
continuare questa missione (appunto) di pace peraltro autorizzata dall’ONU. Domenica
16 novembre si è svolta una manifestazione contro il terrorismo; non in
Italia, ma in Iraq; e per di più organizzata dagli stessi abitanti di
Nassirja. Questo è il primo passo per la pace in quel Paese. Tuttavia
nel dolore delle commemorazioni, si leva una voce non di disperazione; quella
della vedova Coletta, forse tenuta troppo in poco conto: «Lo sa generale
perché mi sento serena? Perché Giuseppe è morto facendo quello che aveva
sempre voluto fare, perché è morto portando aiuto ai bambini di Nassirja,
alla gente di quel lontano Paese. E poi non è vero che lui è andato via: oggi
io lo sento ancora con me. Ed è la fede, certamente, che mi sorregge: perché,
anche nella sofferenza più dura Dio è grande». |
Matteo Zoppi
CROCE, CROCIATE E CROCIFISSI: ERRATA CORRIGE!
In
virtù del proposito di un dialogo serio e costruttivo che entrambi i giornali
si sono auspicati, dopo aver letto l’articolo “Croce, crociate e Crocifisso” di Luca Quaglia, vorremmo sottoporvi qualche
appunto. Prendendo
spunto dalla vicenda del crocifisso di Ofena scatenata dall’irreprensibile
Adel Smith, protagonista di altre azioni di pura e profonda tolleranza, il
nostro amico ingaggia una feroce battaglia contro chiunque promuova o appoggi
l’affissione di “un qualsiasi” simbolo religioso. “L’Italia
è l’unico Paese europeo, a parte forse la Spagna e il Portogallo, ad avere
ancora i Crocifissi nelle aule” afferma il nostro
buon Luca. Il
fatto è che il Crocifisso appeso nelle nostre aule
(se ancora è lì per gentile concessione dell’ateo di turno) non è inteso come
un simbolo religioso; nessuno pretende che il prof. faccia dire la
preghierina all’inizio e alla fine delle lezioni. Quello è il segno della
mia, della nostra cultura; anche della cultura di Luca Quaglia! Benedetto
Croce (che non è certo definibile un uomo “Casa & Chiesa) lo ha capito;
vediamo di capirlo anche noi! Tutto ciò lo nega solo la parte più laicista (e
non laica) del nostro Paese perché non gli va giù che la sua vita sia ancora
influenzata da questo avvenimento che è il Cristianesimo! La laicità dello
Stato non deve essere intesa come “neutralità” ma come “apertura”. Come potrà mai un
popolo costruire un dialogo pacifico con individui di altre culture se esso
stesso, per primo, non ha un’identità? “L’Italia
è l’unico Paese europeo […] ad avere addirittura una legge, del periodo
fascista e non ancora abrogata, che prevede che in tutte le suole e i
tribunali sia esposto per ogni aula un Crocifisso” aggiunge Quaglia. Apprezziamo
il tentativo di revisionismo storico abbozzato dal nostro amico, ma abbiamo
paura che le cose siano andate un poco diversamente. La
famosa legge che prevede l’esposizione del Crocifisso è un Regio Decreto; più
precisamente il n. 965 del 30 aprile 1924 (art. 118, per essere esatti). In
quegli anni Mussolini era sì capo del governo ma non aveva ancora instaurato
la sua criminale dittatura. Comunque non capiamo perché si debba
pregiudizialmente cancellare tutto quello che è stato fatto in quegli anni!
Anche quel poco di buono. Il decreto in questione è stato riconfermato da un
Parere del Consiglio di Stato (n. 63 del 27 aprile 1988) che recita più o
meno così: “il Crocifisso o, più semplicemente, la
Croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della
civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore
universale indipendentemente da una specifica confessione religiosa. […] La
Costituzione repubblicana , pur assicurando pari
libertà a tutte le confessioni religiose, non prescrive alcun divieto all’esposizione
nei pubblici uffici di un simbolo che, come quello del Crocifisso, per i
principi che evoca […] fa parte del patrimonio storico. Né pare, d’altra
parte, che la presenza dell’immagine del Crocifisso
nelle aule scolastiche possa costituire motivo di costrizione della libertà
individuale a manifestare le proprie convinzioni |
in materia
religiosa.” Le
conclusioni del Consiglio di Stato nel citato parere sono categoricamente nel
senso che le disposizioni “concernenti
l’esposizione del Crocifisso nelle scuole siano
tuttora legittimamente operanti”. Ma Quaglia non si accontenta: “Una
Francia che è il Paese dove il principio di uguaglianza è stato coniato, dove
con la rivoluzione francese il clero è stato giustamente perseguitato perché
ricco di beni e alleato della monarchia, dove è nata una delle prime
repubbliche del mondo”. 1- Ci pare che la prima persona ad aver parlato di tale
principio di uguaglianza, senza ricorrere ad alcuna rivoluzione, sia stata
una persona di circa 1800 anni precedente di nome Gesù di Nazareth 2- Il “clero corrotto” sopra citato non è stato affatto
perseguitato dai rivoluzionari, perché ha aderito immediatamente alla
Costituzione Civile del Clero. Purtroppo è stato il basso clero (i cosiddetti
“refrattari”) a subire persecuzioni. Esempio lampante è l’uccisione per
annegamento di numerosissimi sacerdoti (“annegamenti di Nantes”: cfr., in
proposito, F. Furet / M. Ozouf, Dizionario
critico della rivoluzione francese, Bompiani, 1994) 3- Ammettendo pure per una qualche ragione recondita che
i fatti siano in effetti quelli descritti, il nostro compagno si è cimentato
in un’apologia del massacro. 4- Vorremmo fare inoltre notare che la Francia
repubblicana post-rivoluzionaria più che a una democrazia, ha dato inizio ad
una vera e propria dittatura esercitata dalla Convenzione prima e dal
Direttorio poi (precedentemente all’affermazione del giovane Bonaparte), in
cui il cosiddetto “Stato di diritto” ha dato più volte adito all’annullamento
del singolo in nome di una “volontà generale” e di un bene comune stabilito
dal rivoluzionario di turno. Ma
il nostro Quaglia rincara la dose parlando di “forze reazionarie e
conservatrici del Paese, […] che difendono simboli d’altri tempi”. Se con
l’espressione “simboli d’altri tempi” si vuole indicare il Crocifisso, penso
che chi ha scritto questo articolo non abbia mai visto da lontano un
Cristiano! Per la nostra esperienza la Croce è il
simbolo più attuale che si possa trovare dato che ancora oggi entra
concretamente nella nostra vita! Inoltre
nell’articolo in questione appare più volte l’aggettivo “laico”. Inviteremmo
tutti coloro che di questa parola fanno un uso inconsapevole ad andare a
vedere sul loro Rocci (o G.I. che sia) il lemma “laikòs”, derivato da “laòs”
che significa “popolo”! Carattere fondante di un popolo è la sua cultura! La
nostra cultura è cattolica! |
Andrea Caslini
Matteo Zoppi
ALLA SCOPERTA DI
MILANO: CINEMA ARLECCHINO Bella emozione
andare al cinema e sapere che sotto lo schermo c'é un capolavoro. Fateci caso
la prossima volta che mettete piede nel cinema
Arlecchino: quando si accenderanno le luci nella sala vedrete in fondo un
lungo fregio in ceramica con una scena fantastica di cavalieri in
battaglia. E' un'opera di uno dei più famosi artisti del
'900, quello reso celebre dai tagli sulle tele: Lucio Fontana. Fu
l'architetto che costruì il cinema, Menghi, a volere quest'opera che oggi
appare un po' buia poiché non vi é più la luce voluta dall'artista per
risaltare i colori e i riflessi della ceramica. Fontana
era famoso per l'abilità a realizzare opere in questo materiale che faceva
cuocere nei forni di Albisola, in Liguria. Se
andate a vederla da vicino vedrete che é composta
da tante mattonelle assemblate. Penso che l'artista abbia voluto dare
un'idea della fantasia parallela a quella che dovrebbe stupire dallo
schermo. Ma non c'é solo questo; quando pagate il biglietto guardate in alto cosa c'é sul soffitto. Troverete un arlecchino
sempre in ceramica e sempre di Fontana. E'
coloratissimo e risplende per le piccole tessere in mosaico d'oro. Ha le
forme di una creatura fantastica con un grande
mantello svolazzante che sembra farlo volare verso di noi. Queste
opere sono state realizzate da Fontana nel 1948, ce ne sono altre in giro
per Milano e sono la testimonianza di che vitalità avesse
la nostra città in quel periodo della sua storia. Carolina Frangi
COLONNA SONORA – a cura di Andrea Caslini
“Led
Zeppelin”
È
il 1966: mentre i Rolling Stones cantano “Satisfaction” e i Beatles “Michelle”,
il gracilino giovanotto Jimmy Page giunge infine a sostituire l’acclamato
Eric Clapton all’interno della band degli “Yardbirds” ormai in crisi. Nel
giro di breve tempo, comunque, gli sforzi del manager Peter Grant e del nuovo
chitarrista, ormai leader, di mantenere unito il gruppo sfumano nello
scioglimento della band. Per riprendere il lavoro iniziato da poco, Jimmy
Page si mette alla ricerca di nuovi elementi per la fondazione di una nuova
band dal nome molto originale di “New Yardbirds”. In questo strenuo tentativo
assiste ad un concerto degli “Hobbstweedle” e rimane ben impressionato dal
diciottenne cantante Robert Plant. "Il
solo ascoltarlo mi faceva sentire nervoso. A distanza di anni, accade ancora:
il suo canto è una sorta di gemito primordiale" Per
la scelta del bassista la decisione è abbastanza semplice: al sentire la
notizia si fece avanti subito il bassista/arrangiatore John Paul Jones il
quale, oltre che con Rolling Stones e Donovan, aveva già collaborato con
Page. Il batterista, dopo un’opera di convincimento fatta di quaranta
telegrammi da parte di Grant, acquistò il volto del vecchio amico di Plant,
John “Bonzo” Bonham, noto per la sua abitudine di foderare i rullanti e i tom
di carta stagnola per fare più rumore. "Ci
ritrovammo a suonare in una stanza", ricorda Page, "e dopo poco ci
rendemmo conto. Iniziammo a ridere per la gioia o per la consapevolezza di
quel che potevamo fare noi quattro insieme". La
band è così al completo: dopo un tour sperimentale in Scandinavia, il gruppo
intuisce che non si può più andare avanti sotto il nome di “New Yardbirds”.
L’idea di John Entwistle e Keith Moon (rispettivamente batterista e bassista
del gruppo “The Who”), che volendo sciogliere il loro gruppo e fondarne uno
nuovo con Page affermarono “Lo chiameremo Lead Zeppelin (Zeppelin di piombo)
perché se ne andrà in alto come un fottuto aerostato di piombo”, fu
utilizzata per il nuovo complesso di Peter Grant e compagni. Il nome fu in
seguito modificato in “Led Zeppelin” per il suono migliore del participio del
verbo to lead. Nel
gennaio 1969 esce finalmente il primo cd, “LED ZEPPELIN”; trenta ore di
registrazione per 1782 sterline. È subito successo soprattutto negli USA dove
l’album entra nella “top "…hanno
miseramente fallito ogni tentativo di mantenere il proprio comportamento
entro i livelli minimi degli esseri umani…" (Ellen Sander) Sull’onda
del grandissimo successo, nell’ottobre dello stesso anno esce “LED ZEPPELIN
II”. Grazie alla sola canzone “Whole lotta love” (oggi tristemente
conosciuta, rimasterizzata, come sigla di “Top of the Pops”), che diventa
l’inno degli adolescenti dell’epoca e dei soldati statunitensi in Vietnam, i
Led riescono a scalzare definitivamente i “rivali” Beatles. Dopo queste prime
fasi concitate della loro carriera, il gruppo decide di concedersi un
meritato riposo nel cottage gallese di Bron - Yr - Aur dove, recuperati
strumenti e atmosfere celtiche, compongono “LED ZEPPELIN III” il loro album
folk. Dopo un così grande successo l’unica via ancora non percorsa è quella
che porta a oriente. |
In
Giappone il loro concerto è un evento nazionale. Invece in occasione
dell’esibizione al Cantagiro, i fan scatenati ingaggiarono violenti contrasti
con le forze dell’ordine. Conseguenza: i Led Zeppelin da allora non sono più venuti nel nostro Paese.Nel 1971 viene pubblicato il loro capolavoro “LED ZEPPELIN IV”. Le
canzoni incluse in questo cd, come “Black Dog”, “Rock and Roll” e il loro
capolavoro “Stairway to Heaven” sono pietre miliari nella storia del Rock. "Siamo
i più grandi del mondo, i migliori in assoluto, ma nessuno lo sa! Bisogna
fare qualcosa!" In
seguito a queste parole di Bonham e in concomitanza con l’uscita dell’album
“HOUSES OF THE HOLY”, nel 1973 i Led cominciano l’ennesima
tournèe negli USA. Il successo è talmente imponente che i membri della
band si ritrovano in uno stato di prostrazione psicofisica che li porta ad
un’assunzione sempre più massiccia di eroina. Seguono nel 1975 il doppio
“PHISICAL GRAFFITI” e “PRESENCE”; di quest’ultimo è da segnalare il testo del
blues “Nobody’s Fault but Mine” che probabilmente vuole essere un esame di
coscienza. L’anno seguente pubblicano il loro film “THE SONG REMAINS THE
SAME”. Nel 1978, dopo la sconvolgente morte del figlio di Plant, esce “IN
THROUGH THE OUT DOOR”. Arriva il 1980: la band si ritrova a pianificare un
tour negli USA. Ed è in uno di questi incontri che viene trovato morto il batterista
John Bonham. La morte viene ricondotta all’assunzione di un miscuglio fatale
di alcool ed eroina. "…La
perdita del nostro caro amico e il rispetto nei riguardi della sua famiglia,
oltre al senso di unità che abbiamo sempre sentito, ci hanno indotto a
decidere di non proseguire la nostra attività…" è il comunicato stampa
firmato “Led Zeppelin”. LE CANZONI La
musica dei Led Zeppelin, all’ascolto, è ricca di cambiamenti, di contrasti,
che molto spesso creano un pathos che, sinceramente, ho raramente riscontrato
altrove (canzoni come “Babe, I’m gonna leave you” ne sono un esempio).
Inutile dire che non si può affermare di conoscere i Led senza aver mai
ascoltato “Stairway to heaven”, “Whole lotta love”, “Black dog”, “Since I’ve
been loving you”, “Dazed and Confused” caratterizzate dal rock-blues
dell’inizio carriera. In seguito la band elabora un rock contaminato da
elementi di musica orientale, di cui “Kashmir” è prodotto evidentemente. Per
chi vuol farsi un’idea, recentemente sono usciti i due album, “EARLY DAYS” e
“LATTER DAYS”, nei quali sono raccolti i più grandi successi della band. A
chi non ha mai sentito i Led Zeppelin consiglio il primo. Chi invece li
ascolta già da tempo non può lasciarsi sfuggire il triplo cd dei concerti in
California “HOW THE WEST WAS WON”. Tre ore di rock “pompatissimo”, un pizzico
di blues e folk, assoli interminabili, registrati nel momento di massimo
splendore della band. Per la serie: “Come spendere al meglio 27 euro” (almeno
per i cultori del genere). |
Fonti: www.ledzeppelinclub.it
Stephen Davis, Il
martello degli dei. La saga dei Led Zeppelin, ed. aggiornata 2002, I Classici
Arcana
CINEMATIC… “Master & Commander – Sfida ai confini
del mare”
VOTO: 8
Il film più bello e più significativo dell’attuale
stagione cinematografica è sicuramente “Master
& Commander”.
Ambientato in epoca napoleonica, il film racconta le
peripezie della nave Surprise,
imbarcazione della Royal Navy britannica, lanciata all’inseguimento della nave
ammiraglia Acheron, orgoglio della
marina francese.
La storia narra quindi il lungo viaggio che la nave Surprise e il suo capitano Jack Aubrey
(un Russel Crowe da Oscar) devono compiere per catturare il vascello francese
di velocità e armamento indubbiamente superiori (“Costi quel che costi” afferma il protagonista nel punto centrale
del film). Fanno da sfondo alla vicenda tutti i problemi che possono insorgere
su una nave di 197 anime e l’amicizia tra il capitano e il medico di bordo
Stephen Maturin.
Protagonisti del film sicuramente sono il capitano
Aubrey e le decisioni che prende in merito all’inseguimento; egli è diviso tra
senso del dovere (unito a una buona dose di orgoglio)
e pietà verso l’equipaggio, stanco e decimato da molteplici battaglie in alto
mare: nonostante tutto, “Lucky Jack” continuerà il suo viaggio, pur
sacrificando un suo uomo nella folle corsa.
Nel film viene messa in
luce inoltre l’inevitabile fragilità dell’eroe, i suoi mille dubbi, le sue
indecisioni, i suoi sbagli ma soprattutto il suo rapporto con l’esercizio del
potere: Jack si confronta con il dottore, e la coscienza critica di
quest’ultimo, che contrappone la ragione al dovere, l'intelletto all'azione.
Stephen crede in una sostanziale eguaglianza fra gli uomini che vivono sotto
l'oppressione di tiranni piccoli o grandi; "gli
uomini vanno governati" gli ribatte Jack, alludendo ad una sostanziale
fragilità della natura umana che solo se guidata può compiere grandi imprese.
Pur non trattando temi innovativi, il film è
spettacolare perché riesce a rendere in modo veritiero le condizioni di vita di
un equipaggio di inizio Ottocento, e perché riesce a far rivivere allo
spettatore la vita in alto mare: si esce dalla sala con una sorta di “mal di
mare” per le riprese quasi a contatto con l’acqua e per la quasi mancanza di
scene a terra.
Consiglio, infine, questo film per chi ama il mare e
per chi crede nella forza dell’ideale o per chi, stanco di eroi così perfetti
da apparire inumani, preferisce confrontarsi con l’umanità così ben espressa
nella figura del capitano Jack Aubrey.
NdA: il film è tratto da opere dello scrittore Patrick
O’Brian.
Tommaso Molteni
TAZ
& BAO Noi non
smetteremo di esplorare E la fine della nostra ricerca Sarà
arrivare al punto di partenza E avere conoscenza del nostro posto Per la
prima volta Thomas S. Eliot
“IL CORSARO”
Periodico studentesco berchettiano
indipendente di attualità, cultura, libero scambio di idee
Direttore responsabile
Matteo Zoppi II F
Redazione
Tommaso Bardelli III C, Pietro Bregni III C, Lucia Bonacina
III C, Andrea Caslini II F, Carolina Frangi I H, Antonella Gandini III C,
Tommaso Molteni II C