TAVOLA DEI CONTENUTI | TORNA ALLA HOME PAGE |
1) "L'impegno del Berchet contro la guerra" ("La Stampa" del 22/04/2003): la lettera pubblica dei docenti del Berchet che ha dato avvio al dibattito. | |
2) Risposta del giornalista Giovanni Belardelli, "L'insegnante si schiera e la scuola è più debole": attacco agli insegnanti del Berchet da parte di questo giornalista ("Corriere della Sera", 08/05/2003) | |
3) Replica degl'insegnanti firmatari: "Gl'insegnanti e la politica" ("Corriere della Sera", 13/05/2003) | |
4) Lettera del Prof. Giovanni Gola, 08/05/2003 | |
5) Articolo di Robertina Migliavacca: "I buoni maestri del liceo Berchet" ("Il Diario", 23/05/2003) |
Gentile Oreste del Buono, siamo un gruppo di insegnanti del liceo "Berchet" di Milano e sentiamo il dovere, nella presente congiuntura, di esprimere il nostro sconcerto e la nostra indignazione per ciò che sta accadendo in Italia e nel mondo. Con crescente sgomento, avvertiamo da inequivocabili segni l'instaurarsi, da noi e non solo da noi, di un clima di "regime", nel quale si cerca di tacitare il dissenso e le voci "fuori coro".
Da parte nostra, ci schieriamo con quel 30% della popolazione degli Stati Uniti ("antiamericano"?) - semplici cittadini, premi Nobel, intellettuali e artisti - che non accettano l'ipocrisia di una guerra "preventiva" e "umanitaria", scatenata in dispregio del Diritto Internazionale, né possono tripudiare per una vittoria ottenuta al prezzo di un dispiegamento di forze e di un massacro inauditi. Vogliamo denunciare a nostra volta l'enorme frode insita nel motivo propagandistico di cui suole ammantarsi la presente invasione dell'Iraq.
A chiunque sia ancora capace di un barlume di coscienza critica non può sfuggire come la posizione attuale degli Stati Uniti sia diametralmente opposta a quella detenuta nella seconda guerra mondiale: allora essi combatterono, assieme all'Inghilterra e all'Unione Sovietica, contro gli stati nazifascisti aggressori, ora, per quanto orribile possa essere stato il regime di Saddam Hussein, l'aggressione è mossa da loro (e dall'Inghilterra). E sulla natura e sugli scopi di questa guerra molto significativi appaiono gli atteggiamenti assunti dai conquistatori nelle città e nei territori occupati: mentre sono custoditi e difesi con la massima cura i pozzi del petrolio, sono abbandonate alla violenza e al saccheggio da parte di gente ridotta allo stremo dai bombardamenti e dalla fame, non solo i negozi e le abitazioni, ma anche gli ospedali, e persino la Biblioteca e quel Museo Archeologico di Baghdad, che è patrimonio non soltanto iracheno e della cultura mesopotamica, ma anche dell'intera civiltà umana. Mentre tutto questo accade, la minaccia di un allargamento del conflitto ad altri stati appare tuttaltro che scongiurata. Per che cosa dovremmo mai rallegrarci o anche soltanto sentirci sollevati?Angeleri Emilietta, Antomelli Meris, Badini Cesare, Benaglia Andrea, Bodini Maria Teresa, Candia Teodolinda, Cardarelli Luisa, Casolati Lidia, Cerchiari Elda, Ciccolini Teresa, De Luca Pietro, Demolli Laura, Favini Marilena, Fedeli Luisella, Fiore Giovanni, Fossati Marco, Garelli Matilde, Ghislanzoni Giuseppina, Gianera Paola, Grazioli Giovanna, Mancini Fabrizia, Mattio Giovanni, Morpurgo Maria, Mutti Roberto, Panseri Guido, Pennacchioni Maria Luisa, Portioli Carla, Pozzolini Paola, Rinoldi Braicovich Orietta, Salizzoni Annamaria, Pugno Fernanda, Segalini Giovanna, Solmi Raffaella, Stangherlin Marinella, Tagliaferri Fiorella, Talenti Mariella, Testa Chiara, Untersteiner Gabriella, Vaccaro Carmela, Cases Anna, Sacerdoti Nedda, Sosio Maria
Gentili corrispondenti, con orgoglio vedo che sono sempre vive le tradizioni di impegno del "Berchet" di Milano, che è stato anche il mio liceo; con commozione ritrovo fra i firmatari di questa lettera gli eredi (Untersteiner, Cases, Solmi) di amici e maestri.
Oreste del Buono
Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein ci si è molto interrogati su come i giornali e la televisione abbiano informato riguardo al conflitto iracheno. Pochissimo ci si è interrogati, invece, su un argomento non meno importante: come ha reagito la nostra scuola, se essa sia riuscita, in un campo inevitabilmente segnato dalle passioni politiche, a svolgere la sua funzione di favorire la discussione e la conoscenza critica.
A richiamarare l'attenzione su questo argomento è venuta, alcuni giorni fa, una lunga lettera che alcuni insegnanti del liceo "Berchet" di Milano hanno pubblicato sulla Stampa. Gli oltre quaranta firmatari vi esprimono una posizione assai critica nei confronti degli Stati Uniti, la cui collocazione nel conflitto concluso un mese fa è giudicata "diametralmente opposta" a quella avuta durante la Seconda Guerra mondiale. Ad avviso dei professori e delle professoresse del "Berchet", il "motivo propagandistico della 'guerra di liberazione'" sarebbe servito soltanto a mascherare il desiderio americano di mettere le mani sul petrolio e a coprire la realtà del "massacro inaudito" causato dalla guerra. Sono asserzioni discutibili, di cui non sarebbe difficile mostrare la scarsa fondatezza. Ma il punto è un altro. Se quei docenti avessero firmato un testo diverso, che so, contrario alla guerra però "con qualche se e qualche ma", o anche favorevole all'intervento in Iraq, lo sconcerto che la loro lettera suscita non sarebbe minore. Ciò che meraviglia infatti non è lo specifico contenuto antiamericano della loro denuncia, bensì il fatto che essi non abbiano percepito l'inopportunità di prendere una posizione pubblica, di schierarsi ufficialmente e politicamente in quanto insegnanti. Come è ovvio, non voglio certo mettere in dubbio il fatto che gli insegnanti abbiano, come tutti gli altri cittadini, il diritto di manifestare le loro opinioni. Ma qui siamo di fronte a un fatto diverso: ai docenti di una scuola che prendono posizione in quanto (e soltanto in quanto) docenti, tant'è che la raccolta delle adesioni è appunto limitata agli insegnanti del "Berchet". Così facendo, di fatto contraddicono uno dei caratteri fondamentali della scuola come luogo in cui viene riconosciuta la legittimità di tutte le posizioni. Non è difficile capire da dove nasca la loro iniziativa. Nasce dalla convinzione, che ha largamente circolato negli ultimi tempi, secondo la quale l'essere contro la guerra in Iraq non costituirebbe in realtà una posizione politica, discutibile perciò come tutte le posizioni politiche, ma una scelta di tipo morale. La lettera-manifesto degli insegnanti del "Berchet" - che i firmatari con ogni probabilità non considerano, come invece è, un manifesto politico - implica appunto l'idea che il contrasto fra i favorevoli e i contrari alla guerra non rappresenti uno di quei contrasti politici normali, per quanto accese possano esserne le manifestazioni, di cui vivono le democrazie liberali.
A quel contrasto viene invece attribuito il carattere di una contrapposizione assoluta, di un conflitto ultimativo come quello fra libertà e dittatura o tra fascismo e antifascismo, nel quale una delle due posizioni non può che risultare illegittima. Ma la scuola dovrebbe cercare di non rendere le cose del mondo illusoriamente semplici, dovrebbe coltivare il dubbio più che instillare facili certezze. Per questo motivo è da augurarsi che la lettera-manifesto degli insegnanti del "Berchet" resti un caso isolato.
Giovanni Belardelli
Abbiamo letto, sulle pagine 1 e 13 del Corriere di giovedì 8 maggio, un articolo fortemente cirtico nei confronti della nostra lettera, uscita su La Stampa del 23 aprile. Il commento che Giovanni Belardelli le ha dedicato è decisamente travisante, come ogni lettore interessato potrebbe accertare ricorrendo a La Stampa. In ogni caso, un punto è essenziale: a giudizio di Belardelli il contrasto sulla guerra in Iraq è un "normale contrasto politico" e i "normali contrasti politici" devono essere sottratti a un giudizio fondato su "scelte di tipo morale" per essere lasciati, probabilmente, alla valutazione degli esperti di rapporti di forza. Non la pensiamo così e rivendichiamo il diritto, proprio in quanto insegnanti, a un giudizio morale nello spazio politico, il che non significa pensare in termini di bene o mali assoluti, umanamente neppure immaginabili, ma quanto meno di minor male possibile.
Emilietta Angeleri, Meris Antomelli, Cesare Badini, Andrea Benaglia, Maria Teresa Bodini, Teodolinda Candia, Anna Cases, Lidia Casolati, Elda Cerchiari, Teresa Ciccolini, Pietro De Luca, Laura Demolli, Serena Dequal, Marilena Favini, Gisella Fedeli, Ileana Finetti, Giovanni Fiore, Marco Fossati, Matilde Garelli, Giuseppina Ghislanzoni, Paola Gianera, Giovanna Grazioli, Marcella Kahnemann Mangione, Giorgio Luppi, Fabrizia Mancini, Giovanni Mattio, Maria Morpurgo, Roberto Mutti, Guido Panseri, Gabriella Papagna, Maria Luisa Pennacchioni, Nicola Peretti, Carla Portioli, Paola Pozzolini, Orietta Rinoldi Braicovich, Annamaria Salizzoni, Fernanda Pugno Santagata, Annamaria Savastano, Giovanna Segalini, Raffaella Solmi, Maria Sosio, Marinella Stangherlin, Fiorella Tagliaferri, Mariella Talenti, Chiara Testa, Gabriella Untersteiner, Carmela Vaccaro
I firmatari di questo testo (tutti insegnanti del milanese "Berchet") hanno sostenuto tra l'altro, nella loro lettera-manifesto a La Stampa, che gli Stati Uniti si trovano in Iraq in una posizione "diametralmente opposta" a quella avuta durante la Seconda guerra mondiale: si tratta dunque, nonostante ciò che ora scrivono, di un giudizio politico, politicissimo. Lo si condivida o meno, resta a mio avviso sbagliato che i docenti di una scuola firmino, in quanto docenti, pubbliche dichiarazioni politiche, che si tratti oggi dell'Iraq o domani dell'articolo18.
Giovanni Belardelli
Ai Signori Insegnanti del
Liceo Berchet - MilanoIn veste di ex discepolo del Berchet (anni '30!) mi consento di intervenire a proposito di quanto pubblicato sul Corriere (8/5) "L'insegnante si schiera" e inviare ai docenti "chiarificatori" il mio vivo plauso. Ritengo che la scuola, affrancatasi dalla omologazione dottrinaria del fascismo-comunismo e proprio per perseguire il suo fine supremo e ultimo di creare "spiriti liberi" non solo può ma deve comunicare il suo sentire - proprio anche se in contrasto con la volontà del Palazzo. Nel caso de quo, in particolare, l'opinione dei docenti era in assonanza con quella di milioni di cittadini, italiani e mondiali, ansiosi di manifestare, cortei e bandiere, la loro avversità alla guerra e, inoltre, con la benedizione del Papa (si ripresentava (?) il conflitto medioevale chiesa-impero). Quanto commenta il giornalista del Corriere è ininfluente: non mancano mai i violini cortigiani.
Grazie dunque ai docenti, vigili e combattivi: solo così possono conquistarsi il rispetto e l'affetto dei loro allievi.
Vita lunga al Berchet.
Giovanni Gola
P.S. 1: perché non si è pubblicato sul Corriere ma sulla Stampa?
P.S. 2: complimenti e onore al vostro allievo, 2° in merito al concorso sul Certamen Horatianum.
"A coloro che operano insieme deve essere caro ritrovarsi in unità d'intenti". Chissà se sarà stata l'esortazione del vecchio Platone a confondere le menti di 40 maldestri docenti (in ruolo e in pensione) del milanese liceo Berchet che, nel redigere e sottoscrivere un appello contro l'intervento in Iraq, non hanno "percepito l'inopportunità di prendere una posizione pubblica, di schierarsi ufficialmente e politicamente in quanto insegnanti". Quando ho visto pubblicato il testo della loro lettera su La Stampa, io, che di alcuni di loro sono stata allieva, confesso di aver pensato a quella citazione del filosofo. E nello stesso errore deve essere inciampato Oreste del Buono, che affettuosamente salutava i firmatari, riconoscendo in alcuni di quei nomi i legami di parentela e il lascito di eredità culturale e impegno civile di suoi non dimenticati "maestri".
Solo dopo la replica, con strillo in prima pagina, a firma di Giovanni Belardelli e l'immancabile sondaggio d'opinione tra presidi e insegnanti - sulle colonne del Corriere della Sera - ho capito che quei 40 pessimi elementi dovevano essere urgentemente ricondotti sulla retta via, non certo per aver indebolito la scuola italiana (sulla cui sana e robusta costituzione azzarderei, allo stato attuale, dei dubbi), ma per l'evidente e flagrante reato di uso improprio dell'insiemistica. Cosa hanno combinato i nostri professori, presi dall'urgenza di rendere manifesta la propria passione di cittadini e dal bisogno di ricordare la fedeltà al ripudio della guerra sancito dalla Costituzione, atto fondativo di quello Stato che è anche il loro datore di lavoro? Si sono definiti matematicamente, ossia consentendo all'osservatore esterno di stabilire con assoluta precisione la loro appartenenza a un insieme (docenti ed ex docenti del Berchet) e rendendo possibile distinguere l'uno dall'altro gli elementi che quell'insieme componevano (nomi e cognomi). Non hanno dunque subdolamente approfittato di una pretesa autorità di pensiero che dovrebbe discendere dal loro essere genericamente degli insegnanti. I nostri 40 hanno legato nomi e cognomi al loro volto, hanno riportato alla mente il ricordo del luogo in cui li abbiamo conosciuti, si sono "rivelati interi". Voglio dirlo senza reticenze: tra loro ci sono cerberi mitologici, erinni della meritocrazia, flagelli di svariate generazioni di studenti. Mai visto voti arrotondati verso l'alto (o viceversa) in virtù dell'appartenenza dell'allievo a un determinato schieramento politico. Dunque se l'appello dei quaranta ha suscitato malumore, forse la causa va cercata nel "legittimo sospetto" di una particolare attenzione che numerosi lettori avrebbero impiegato nella valutazione delle argomentazioni proprio in ragione della riconoscibilità di quell'insieme, dunque non a prescindere dall'identità dei firmatari, ma in forza di essa. Se così è, conviene far sapere ai detrattori che la loro autorevolezza risiede in quella componente etica che sempre hanno messo al primo posto nell'esercizio del ruolo di "formatori". O anche nel costante essere stati curiosi indagatori e mai passivi spettatori di pericolose derive. Un altro senza se e senza ma i più anziani di questi 40 lo pronunciarono forte, e politicissimo, insieme all'allora preside Raffaele Barbarito: contro il terrorismo e l'eversione. Ancora una volta grazie, maldestri quaranta, per la passione e la lucidità a cui non sapete rinunciare e per il non domato spirito che resiste. Servabo, servabimus.
Robertina Migliavacca ex allieva Berchet Corso B - Anni '79-'84